Sic, tra novembre e gennaio taglio interventi nel 68% ospedali
Durante l'ultima ondata di Covid-19, in molti ospedali l'assistenza cardiologica è stata ridotta all'osso. Fra novembre 2021 e gennaio 2022, il 68% delle strutture ha tagliato interventi e ricoveri, il 50% ha diminuito esami diagnostici, il 45% ha ridotto visite ambulatoriali. La pandemia, dunque, rischia di riportare la lancetta dell’orologio della cardiologia indietro di decenni: a causa dell’ultima emergenza Covid-19, che ha costretto a convertire molti posti letto cardiologici per trattare i pazienti contagiati, in molti ospedali l’assistenza cardiologica è stata ridotta all’osso e la mortalità per infarto e ictus rischia ora di tornare ai livelli di 20 anni fa. Lo denuncia un’indagine condotta dalla Società Italiana di Cardiologia in 45 ospedali equamente distribuiti sul territorio nazionale: la survey ha dimostrato che il 68% degli ospedali ha ridotto i ricoveri elettivi dei pazienti cardiopatici, il 50% ha diminuito l’offerta degli esami diagnostici e il 45% ha dovuto tagliare le visite ambulatoriali. Il 22% ha dovuto addirittura ridurre i posti letto in terapia intensiva cardiologica (UTIC), mentre il 18% degli ospedali ha ridotto in personale medico in UTIC e il 13% quello infermieristico. È però necessaria un’inversione di rotta che garantisca un ripristino e magari un potenziamento dell’assistenza cardiologica, anche perché in futuro i pazienti cardiologici potrebbero aumentare proprio per colpa del Covid: uno studio recentemente pubblicato su Nature Medicine dimostra infatti che dopo la guarigione dall’infezione i pazienti hanno un maggior rischio di malattie cardiovascolari come scompenso cardiaco, ictus, infarto, aritmie e mio-pericarditi. “Sono dati molto preoccupanti, che testimoniano una situazione di evidente emergenza per i pazienti italiani con malattie cardiovascolari”, afferma Ciro Indolfi (nella foto), Presidente della Società Italiana di Cardiologia e Vice-Presidente della Confederazione Cardiologi, Oncologi ed Ematologi (FOCE).
Per l’indagine italiana sono state monitorate in due diverse fasi, a novembre/dicembre 2021 e poi a gennaio 2022, le attività in ambito cardiologico di 45 ospedali afferenti alla SIC.
Tutto questo apre la strada a un futuro in cui si potrebbe ritornare al passato, a quando cioè un numero molto maggiore di persone moriva per infarto, anche perché accanto a un ridimensionamento dell’assistenza la stessa pandemia ha peggiorato la salute cardiovascolare degli italiani. “Oggi si registrano 1 milione di fumatori in più rispetto al passato, il 44% degli italiani è aumentato di peso, il consumo eccessivo di alcol è cresciuto del 23,6% fra i maschi e del 9,7% fra le donne - afferma il Prof. Pasquale Perrone Filardi, Presidente eletto della SIC. Questi dati sono molto preoccupanti e fanno presagire un aumento delle patologie cardiovascolari nei prossimi anni, a cui si aggiunge l’aumento delle malattie ischemiche del cuore: l'Italia è stata la prima nazione occidentale a essere colpita dalla pandemia e la SIC è stata la prima Società scientifica, in uno studio pubblicato sull’European Heart Journal, a intercettare tale fenomeno già nella prima fase della pandemia, quando è stato registrato un aumento di tre volte della mortalità per infarto miocardico”.
“In Italia le malattie cardiovascolari rappresentano il 44% di tutti i decessi, la cardiopatia ischemica è la principale causa di morte (28%) e 4,4 italiani ogni mille vanno incontro a disabilità cardiovascolare - aggiunge il Prof Gianfranco Sinagra, Vice-Presidente della SIC. Nonostante il peso delle malattie cardiovascolari, nel 2016 l’aspettativa di vita alla nascita in Italia era di 82,8 anni, tra le più lunghe al mondo; dall’inizio della pandemia l'aspettativa di vita post-pandemica è diminuita a 82 anni, con un ulteriore decremento di 1,2 anni nel 2020 rispetto al 2019. A 65 anni, l'aspettativa scende a 19,9 anni (18,2 anni per gli uomini, 21,6 anni per le donne): serve perciò una campagna di prevenzione efficace e soprattutto occorre riorganizzare le strategie terapeutiche nei pazienti cardiopatici, senza tagliare sulla loro assistenza come invece sta accadendo”.
In assenza di un cambio di rotta agli effetti acuti dell’infezione da SARS-CoV-2 sul cuore, bisognerà aggiungere quelli indiretti dovuti alla mancata prevenzione e trattamento di molte patologie cardiologiche e a quelli provocati a distanza dall’infezione. “I dati emersi richiamano alla necessità di proteggere i pazienti cardiopatici, se non vogliamo perdere il vantaggio straordinario ottenuto in cardiologia in questi ultime tre decadi: l’angioplastica per l’infarto ha ridotto la mortalità dal 30% a circa il 4%, ma se i ricoveri e gli interventi continueranno a ridursi un sempre minor numero di vittime di attacco cardiaco vi potrà accedere. I nuovi dati indicano inoltre che i pazienti guariti dal Covid devono essere ricevere un’attenzione maggiore per l’aumentata probabilità di essere colpiti da patologie cardiovascolari: siamo perciò in un momento in cui a una minore prevenzione e terapia delle malattie cardiovascolari si associa un maggiore rischio proprio di queste malattie nei pazienti guariti dal Covid. Tutto ciò dovrà essere seriamente considerato nelle prossime strategie di riorganizzazione del Sistema Sanitario Nazionale”, conclude Indolfi.
Il successo della procedura non dipende dal tipo di energia utilizzata per l'ablazione come dimostrano i recenti studi. "Pensiamo, quindi, che più di energia sia una questione di strategia"
Con uso tempestivo +50-70% di sopravvivenza ad arresto cardiaco
Allo stroke sopravvivono 45mila pazienti, che si trovano però a fare i conti con deficit motori (il 40% di loro) e cognitivi (più del 50%)
È un dispositivo temporaneo, utile soprattutto nei bambini
Società scientifiche ed esperti concordano sulla necessità di agire sull’organizzazione e il monitoraggio – anche attraverso i LEA - e sulla comunicazione per un paziente più consapevole
Per colmare questo vuoto, è stato realizzato il Manifesto: “Rischio cardiovascolare residuo: analisi del contesto e delle opzioni terapeutiche, tra innovative strategie di prevenzione e sostenibilità di sistema”
Abbott annuncia la disponibilità in Italia di AVEIR™ DR, il primo sistema di pacemaker bicamerale senza fili al mondo per trattare le persone con un ritmo cardiaco anomalo o più lento del normale. Eseguiti già i primi impianti in Italia
Il documento ha affrontato il tema dell’aderenza terapeutica nei suoi diversi aspetti, sia a livello mondiale che italiano
Commenti