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Epidermolisi bollosa, l'importanza della collaborazione tra pediatra e team multidisciplinare

Pediatria Redazione DottNet | 04/05/2022 18:24

Il neonato potrebbe avere difficoltà nel nutrirsi, ed il supporto di uno staff infermieristico specializzato ha un ruolo cruciale per aiutare mamma e bambino nell’allattamento

L’epidermolisi bollosa ereditaria (EB) è un gruppo eterogeneo di genodermatosi caratterizzato da una difettiva adesione epiteliale, causa di fragilità mucocutanea e formazione di bolle/vesciche a seguito di minimi traumi.1  L’incidenza e la prevalenza di questa malattia sono state ampiamente definite mediante studi epidemiologici che ne consideravano le caratteristiche cliniche e molecolari:1 ad esempio, in Italia la prevalenza complessiva nella popolazione è stimata in 1/100.000.2

Recentemente è stata rivista la classificazione dell’EB, e sono stati confermati 4 tipi principali: EB simplex (EBS), EB giunzionale (JEB), EB distrofica (DEB) e più di 35 sottotipi di EB; inoltre, è presente una forma molto rara, l’EB di Kindler.

1  L’EB influenza considerevolmente la qualità di vita dei pazienti e dei familiari, in quanto: si manifesta frequentemente fin dalla nascita; è una malattia cronica dolorosa e disabilitante di cui non sono ancora conosciute terapie curative; richiede una gestione giornaliera che richiede molto tempo; è spesso multisistemica ed è frequentemente caratterizzata da una ridotta aspettativa di vita e da danni estetici gravi.3

Il suo riconoscimento e la diagnosi precoce sono necessari, e in questo, il ruolo dei pediatri, specialmente quelli coinvolti nella valutazione sanitaria pediatrica di base, è fondamentale: sia per la diagnosi ma soprattutto per la gestione dei bambini con EB e per contribuire ad una migliore aspettativa di vita per questi pazienti.1

La diagnosi inizialmente è guidata dal sospetto di alcune caratteristiche cliniche, per poi essere confermata da una biopsia cutanea con mappatura antigenica con immunofluorescenza, microscopia elettronica (in casi selezionati) e test genetico molecolare.3 Da qui, l’importanza del ruolo del genetista nel dare counselling genetico e per informare i genitori riguardo la possibilità di eseguire diagnosi prenatale.3

Già dai primi giorni di vita del bambino un vero e proprio team multidisciplinare è necessario per supportare le famiglie in questo delicato momento.3 In caso di vesciche nella mucosa orale, il neonato potrebbe avere difficoltà nel nutrirsi, ed il supporto di uno staff infermieristico specializzato ha un ruolo cruciale per aiutare mamma e bambino nell’allattamento.3 Uno psicologo è coinvolto fin dai primi giorni di vita del neonato per supportare le famiglie e continuerà ad essere una figura essenziale per il resto del percorso terapeutico e di vita.3 Il pediatra insieme al nutrizionista spiega l’importanza dell’idratazione, della qualità e quantità dell’apporto nutritivo, controlla gli esami del sangue e prescrive terapie di supporto con vitamine o altri integratori, se necessario.3 L’endocrinologo spesso supporta il ruolo del pediatra nella gestione delle complicazioni, come l’osteoporosi o i deficit vitaminici.3 Il fisioterapista insegna i vantaggi della fisioterapia e può suggerire appropriate attività sportive per prevenire/ritardare contratture e osteoporosi.3 Il dentista può educare i genitori all’igiene orale fin dai primi mesi di vita in modo da prevenire/ritardare cicatrici, carie e parodontopatie.3 Il chirurgo plastico è coinvolto in caso di pseudo-sindattilia o di carcinoma a cellule squamose, mentre il chirurgo dell’apparato digerente interviene in caso di costringimento/stenosi dell’esofago, per diagnosi e trattamenti specifici.3

Uno step fondamentale nel conferire sicurezza ad entrambi i genitori nella gestione del proprio bambino, prima che questo sia dimesso dall’ospedale, è l’educazione alla terapia: fin dai primi giorni, lo staff medico aiuta la famiglia nel prendersi cura del neonato, dalle attività quotidiane più semplici alle medicazioni più complesse, in modo da renderli autonomi nella gestione del bambino una volta usciti dall’ospedale.3 Da definizione dell’OMS, infatti, l’educazione alla terapia è un processo continuo di cure mediche paziente-centriche, che permetta ai pazienti affetti da malattie croniche e alle loro famiglie, di conoscere e gestire al meglio la loro malattia.3

Il processo educazionale è dinamico in quanto tiene conto delle continue modifiche delle caratteristiche cliniche della malattia, delle complicanze e del conseguente impatto psicologico durante la vita del paziente e dei familiari.3 Far sì che questi si sentano accolti, ascoltati e accompagnati con empatia diviene un fattore facilitante del benessere di tutti i membri della famiglia e delle loro relazioni.3 Con l’avanzare dell’età del bambino, ed a maggior ragione nella fase adolescenziale, è importante che questo si senta sempre più coinvolto nella gestione della terapia e che lo staff medico parli direttamente con lui responsabilizzandolo all’aderenza terapeutica per evitare le complicanze (cancro della pelle e delle mucose) che spesso iniziano ad apparire a questa età.3 

Tutto considerato, una gestione multidisciplinare adeguata della malattia, il coinvolgimento nel prendersi cura del bambino di entrambi i genitori fin dall’inizio, il supporto psicologico continuo e l’appropriata e dinamica educazione alla terapia del paziente, non solo permettono una maggiore aderenza al trattamento, ma questo si traduce in una riduzione della frequenza delle riacutizzazioni fin da uno stadio precoce e in una migliore qualità e aspettativa di vita.3

BIBLIOGRAFIA

1. Marchili MR, et al. Epidermolysis Bullosa in children: the central role of the pediatrician. Orphanet J Rare Dis. 2022;17(1):147.

2. Taruscio D, et al. Diagnosi delle epidermolisi bollose ereditarie. Aggiornato marzo 2014. Disponibile al link: https://www.malattierare.gov.it/linee_guida/download_allegato/5/Diagnosidelleepidermolisi(2).pdf

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