Prevenzione e presa in carico tempestiva fondamentali per ridurre l’impatto della malattia su salute, ospedalizzazioni e costi a carico del Servizio sanitario
Il 50-60% della popolazione italiana presenta i sintomi della malattia venosa: pesantezza agli arti inferiori, gonfiore, crampi, presenza di capillari e vene varicose. Troppo spesso sottovalutata o considerata solo un problema estetico, la malattia venosa è invece una patologia complessa che, se non trattata in maniera tempestiva e adeguata, può peggiorare nel tempo dando origine a gravi complicanze, come le ulcere venose, che incidono sulla salute del paziente e sui costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Non va inoltre trascurata la correlazione tra malattia venosa cronica e aumentato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari come ictus e infarto. In questo contesto, si inserisce il flebologo, il professionista che racchiude le competenze mediche e chirurgiche per una gestione a 360 gradi delle malattie venose degli arti inferiori: figura essenziale ma per la quale manca un modello di formazione standard a livello nazionale.
Di questi temi si è discusso a Roma all’evento "La moderna flebologia: tra innovazione e sostenibilità", che ha riunito angiologi e flebologi da tutta Italia in un confronto sui bisogni clinici e organizzativi per una gestione efficace e sostenibile della malattia venosa cronica.
Come ha rimarcato la Presidente dell’Intergruppo Parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari, Elena Murelli, le malattie vascolari sono una priorità di salute pubblica a causa dell’impatto elevatissimo sulla salute degli italiani e sul sistema socio-economico del Paese: nel loro insieme, infatti, le patologie cardio, cerebro e vascolari costituiscono la prima causa di ricovero ospedaliero e tra le principali cause di invalidità insieme ai tumori.
La necessità di diffondere una maggiore consapevolezza delle malattie vascolari e di promuovere nuovi approcci - culturali e organizzativi - sempre più orientatati alla prevenzione e alla precocità di intervento, è stata ribadita dal Direttore Generale della Prevenzione del Ministero della Salute, Francesco Vaia. In particolare, la prevenzione può consentire di ridurre del 60% la domanda di assistenza sanitaria per le patologie croniche, tra cui quelle cardiovascolari, ed è per questo che dovrebbe rappresentare la principale attrice del cambiamento in atto nella sanità italiana anche in un’ottica di sostenibilità, oggi quanto mai prioritaria alla luce dei nuovi trend socio-demografici.
"La malattia venosa cronica ha un forte impatto sulla salute della popolazione, soprattutto a carico del sesso femminile per via di fattori ormonali e gravidanza", spiega Angelo Santoliquido, Direttore Angiologia e diagnostica vascolare non invasiva, Policlinico Gemelli di Roma e presidente eletto del Collegio Italiano di Flebologia (CIF). "Essenziale non banalizzarla: è una patologia cronica a carattere degenerativo e come tale va affrontata, intervenendo tempestivamente per ridurre il rischio degli esisti peggiori della malattia. Oltre al sesso, altri fattori di rischio sono l’età, l’obesità e il sovrappeso, aspetti particolarmente attuali per la nostra società caratterizzata da una popolazione sempre più anziana e da un progressivo aumento di condizioni legate a errati stili di vita. Esistono terapie farmacologiche che consentono di evitare che la malattia progredisca, ma è fondamentale rivolgersi allo specialista per un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico".
Una corretta presa in carico del paziente con malattia venosa cronica permette di migliorare gli esiti clinici e di ridurre l’insorgenza delle complicanze, contribuendo a ridurre i costi a carico del SSN, per via di un minor ricorso a visite, ospedlaizzazioni e terapie.
"La malattia venosa cronica richiede un approccio diagnostico e terapeutico intensivo" afferma Giuseppe Camporese, Responsabile ambulatorio di Medicina Vascolare dell'Azienda Ospedale - Università Padova. "Come per tutte le cronicità, la prevenzione è uno strumento essenziale sul quale è importante sensibilizzare il paziente: già ai primi sintomi è importante rivolgersi allo specialista per ricevere una corretta diagnosi e impostare la terapia più adeguata, commisurata allo stadio della malattia. Esistono farmaci che agiscono per alleviare i sintomi e altri che invece possono agire per riparare i danni ai vasi causati dalla malattia e ridurre il rischio di complicanze. Infine, il paziente può valutare insieme al proprio medico l’eventuale intervento chirurgico".
Marzia Lugli, presidente del Collegio Italiano di Flebologia (CIF), ha sottolineato "l’impatto socio-economico delle patologie a carico del sistema venoso profondo che colpiscono pazienti sempre più giovani, spesso compromettendone l’autonomia e la qualità di vita, e la necessità di promuovere percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali adeguati e la formazione continua dei professionisti per sfruttare al meglio le opportunità di cura oggi disponibili. È importante inoltre sottolineare come sia finalmente avvenuto il riconoscimento da parte della UEMS (Unione Europea dei Medici Specialisti) della figura del Flebologo, con istituzione di un percorso formativo comune a tutti i paesi della Comunità Europea. Il percorso formativo avviene in centri selezionati e certifica la competenza del flebologo: la prima certificazione europea è avvenuta proprio in Italia (Modena, Hesperia Hospital), da sempre all’avanguardia in materia di flebologia".
"Gran parte del carico assistenziale per le patologie degli arti inferiori è in capo al flebologo, professionista che coniuga diverse competenze, dalla chirurgia generale alla chirurgia vascolare, alla conoscenza delle malattie della coaugulazione del sangue e della guarigione delle ulcere degli arti inferiori, ma che ad oggi non ha una sua rilevanza istituzionale perché la specialità manca sia a livello universitario sia all’interno delle Scuole di specializzazione. L’auspicio è che il SSN definisca in tempi rapidi un modello di formazione standard a livello nazionale che consenta di istituzionalizzare e standarizzare questa professionalità", aggiunge Maurizio Ronconi, Presidente dell’Associazione Flebologica Italiana (AFI).
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