Lo evidenzia lo studio danese DanGer Shock, pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato in occasione del 75/mo congresso dell'American College of Cardiology ad Atlanta (Usa)
la pompa cardiaca artificiale più piccola al mondo la migliore opzione di trattamento, secondo gli esperti, per i pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno, che si verifica quando il cuore, di colpo, smette di pompare il sangue. Così si trova senza "carburante", con la pressione che crolla e reni e cervello che smettono di funzionare. Una situazione che mette a rischio la vita e va affrontata rapidamente sfruttando farmaci, ma anche la tecnologia. A evidenziare l'efficacia della pompa a flusso microassiale (Impella CP) è lo studio danese DanGer Shock, pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato in occasione del 75/mo congresso dell'American College of Cardiology ad Atlanta (Usa).
"Lo shock cardiogeno, dopo un infarto miocardico acuto, è una condizione di inadeguata perfusione del cuore dovuta a necrosi delle cellule muscolari coinvolte nella contrazione dell'organo - afferma Pasquale Perrone Filardi (nella foto), Presidente della Società Italiana di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell'Università Federico II di Napoli -.
La selezione dei pazienti è stato l'elemento chiave dei risultati di questo studio che ha documentato un reale beneficio sulla sopravvivenza in una patologia dove la terapia medica è solitamente inefficace. Tuttavia, l'utilizzo di questo catetere può dare delle complicanze alle arterie, che in futuro potranno essere ridotte grazie a un più attento controllo dell'accesso vascolare". Lo studio ha dimostrato, inoltre, che le curve di sopravvivenza si separano precocemente con una mortalità nei controlli in aumento nel corso dei 180 giorni mentre la mortalità rimane stabile dopo 30 giorni nei soggetti trattati con la micropompa. "Questi ulteriori strategie terapeutiche associate ad un trattamento tempestivo dell'infarto con lo stent coronarico, contribuiranno ad un aumento della sopravvivenza nei soggetti colpiti da questa patologia - concludono Indolfi e Perrone Filardi - che, purtroppo, rappresenta ancora la causa numero uno di morte nell'uomo e nella donna".
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