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Aviaria, mutazioni nel virus che ha causato un caso grave in Usa

Infettivologia Redazione DottNet | 27/12/2024 16:40

Infezione da uccelli e non da mucche; non si è diffusa ai contatti

 Le analisi dei campioni prelevati dal primo paziente con una forma grave di influenza aviaria negli Stati Uniti hanno mostrato che il virus presentava mutazioni osservate in precedenza in altri casi di infezioni da A/H5N1 registrate in altri Paesi e spesso caratterizzate da particolare gravità. Lo hanno fatto sapere i Centers for Disease Control and Prevention americani. Le analisi indicano che le mutazioni si sono sviluppate nel paziente e non si sono diffuse ai suoi contatti.  Lo scorso 13 dicembre il dipartimento della Salute della Louisiana ha fatto sapere che un uomo di 65 anni era stato ricoverato in condizioni critiche a causa di un'infezione da virus dell'influenza aviaria A/H5N1.

  I test hanno ora confermato che la forma di virus che ha infettato il paziente è di tipo D1.1, che circola negli uccelli e era stata responsabile dei recenti casi umani in Canada e nello Stato di Washington. L'infezione, quindi, non è connessa al ceppo di virus che da quasi un anno circola nei bovini in Usa (B3.13).
   La peculiarità dell'infezione del paziente della Louisiana è la presenza di mutazioni a carico del gene per l'emoagglutinina, una proteina posta sulla superficie del virus che gli permette di attaccarsi alle cellule umane. "I cambiamenti - precisano i Cdc - sono stati probabilmente generati dalla replicazione di questo virus nel paziente con malattia avanzata". I test, infatti, non hanno rilevato questa caratteristica nei campioni animali analizzati. "Questi cambiamenti sarebbero più preoccupanti se trovati negli ospiti animali o nelle prime fasi dell'infezione quando questi cambiamenti potrebbero facilitare la diffusione a contatti stretti", aggiungono i Cdc. "In particolare, in questo caso, non è stata identificata alcuna trasmissione dal paziente in Louisiana ad altre persone". Queste mutazioni non sono una novità assoluta. Sono strettamente correlati a ceppi noti "che potrebbero essere utilizzati per produrre vaccini, se necessario", concludono i Cdc. 
  

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