Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine che ha trovato prove dell’accumulo di questi materiali anche nell’organismo umano
Dopo la scoperta che le microplastiche sono in grado di bloccare il flusso sanguigno nel cervello dei topi anche per diverse settimane, uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha trovato prove dell’accumulo di questi materiali anche nell’organismo umano: i campioni prelevati durante autopsie svolte nel 2016 e nel 2024 hanno rilevato la presenza di microplastiche anche in elevate concentrazioni nel cervello, nel fegato e nei reni, e i risultati mostrano che sono in aumento nei campioni più recenti.
I ricercatori hanno raccolto campioni di tessuto provenienti da cervello, fegato e reni di 52 individui, alla ricerca di particelle di plastica comprese tra un milionesimo e un miliardesimo di metro. Le analisi hanno dato esito positivo per tutti i campioni, ma le concentrazioni sono risultate significativamente più alte per il cervello. Inoltre, mettendo a confronto i dati ottenuti dai campioni del 2016 e di periodi antecedenti con quelli dei campioni successivi, hanno trovato quantità maggiori in questi ultimi, segno che le concentrazioni stanno aumentando col passare del tempo. Emerge, infine, che il cervello degli individui affetti da demenza mostra più microplastiche rispetto a quello degli altri. Gli autori dello studio, tuttavia, invitano alla cautela, affermando che i risultati ottenuti mostrano un’associazione tra particelle di plastica ed effetti sulla salute, ma non dimostrano una relazione di causa-effetto: le future analisi dovranno includere molte più persone provenienti da popolazioni diverse, per fare luce sul problema.
Lo rivela uno studio dai ricercatori del BioAgingLab dell'Università di Padova, diretto da Sofia Pavanello, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica GeroScience
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