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Tumore ovarico, con la nuova molecola meno 30% i casi di aggravamento o morte

Farmaci Redazione DottNet | 20/10/2025 16:13

Studio di fase 3 su pazienti con recidiva platino-resistente

Una riduzione del 30% del rischio di progressione della malattia o di morte nelle pazienti colpite da recidiva di carcinoma ovarico platino-resistente. Questo, in sintesi, il risultato dello studio registrativo di Fase 3 Keynote-B96 - presentato in una sessione del Presidential Symposium del Congresso 2025 della European Society for Medical Oncology (Esmo) - che valuta la molecola anti-PD1 pembrolizumab in combinazione con chemioterapia (paclitaxel) con o senza bevacizumab.   Dopo 12 mesi, il tasso di sopravvivenza libera da progressione per le pazienti trattate con il regime a base di pembrolizumab è stato del 33,1% rispetto al 21,3% per le pazienti trattate con il regime a base di placebo.  Nelle pazienti il cui tumore esprime PD-L1, pembrolizumab più chemioterapia con o senza bevacizumab ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 28% rispetto a placebo più chemioterapia con o senza bevacizumab.

 Il tasso di sopravvivenza libera da progressione a 12 mesi è stato del 35,2% per il regime a base di pembrolizumab rispetto al 22,6% per il regime a base di placebo. Alla seconda analisi ad interim, al follow-up mediano di 26,6 mesi, il regime a base di pembrolizumab ha dimostrato anche un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale nelle pazienti il cui tumore esprime PD-L1, riducendo il rischio di morte del 24% rispetto a placebo più chemioterapia con o senza bevacizumab.

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Il tasso di sopravvivenza globale a 12 mesi per le pazienti trattate con il regime a base di pembrolizumab è stato del 69,1% rispetto al 59,3% per le pazienti trattate con il regime a base di placebo.   I tassi di sopravvivenza globale a 18 mesi sono risultati del 51,5% e 38,9%, rispettivamente. "Per le pazienti con carcinoma ovarico ricorrente resistente al platino abbiamo attualmente a disposizione pochissimi trattamenti in grado di ridurre il rischio di progressione di malattia o di morte - spiega Nicoletta Colombo, direttrice del Gynecologic Oncology Program dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. I risultati di questo studio possono rappresentare un significativo passo avanti nel trattamento di questo tumore e dimostrano che l'aggiunta di pembrolizumab alla chemioterapia, con o senza bevacizumab, potrebbe diventare un'ulteriore opzione efficace per queste pazienti".

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