
Schillaci, "7 miliardi alla sanità più di quanto chiesto dalle opposizioni. Non è vero chemncano i medici"
In dieci anni sono “spariti” oltre 7mila medici di famiglia – quasi il 20% del totale – passando dai 45.203 del 2013 ai 37.983 del 2023. E il futuro non promette nulla di buono: più di un terzo degli attuali medici andrà in pensione entro il 2035, aggravando ulteriormente un problema già drammatico. Il rischio è che i medici di medicina generale diventino una specie in via di estinzione, costringendo milioni di italiani – in particolare nel Nord e nelle grandi città – a compiere veri e propri “salti mortali” per trovarne uno disponibile. Le situazioni più critiche si registrano in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e nella provincia autonoma di Bolzano.
Secondo la Fimmg, il principale sindacato dei medici di famiglia, già oggi circa 5 milioni di cittadini non riescono a trovare un medico di riferimento. Senza un ricambio generazionale adeguato, il numero rischia di salire a 8 milioni nei prossimi anni. La carenza non pesa solo sui pazienti, ma anche sui professionisti rimasti in servizio, costretti a lavorare in condizioni di sovraccarico, con un numero di assistiti spesso al massimale di 1.500 o addirittura 1.800 pazienti a seconda delle Regioni. Ne derivano difficoltà crescenti nel rispondere alle richieste, soffocati tra burocrazia, prescrizioni, adempimenti amministrativi e sempre meno tempo per le visite.
Formazione in crisi: concorsi deserti anche al Nord
La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che, nonostante gli sforzi per formare più giovani medici di base – grazie anche alle borse di studio aggiuntive finanziate con il PNRR – molti bandi regionali per accedere ai corsi triennali di formazione specifica in medicina generale non riescono a coprire tutti i posti disponibili. In ben sei Regioni (Lombardia, Liguria, Piemonte, Marche, Veneto e Trento-Bolzano) i concorsi hanno registrato meno candidati rispetto alle borse offerte.
In un primo momento si era parlato di un’inversione di tendenza, grazie all’aumento delle domande (5.396 candidature per 2.223 posti), ma i dati effettivi hanno smorzato gli entusiasmi. Emblematico il caso della Lombardia: a fronte di 602 iscritti per 390 posti, solo 306 candidati si sono effettivamente presentati alle selezioni. «Un po’ me l’aspettavo: si è cantato vittoria troppo presto», commenta Noemi Lopes, vice segretaria nazionale della Fimmg, che ha raccolto i dati di tutti i concorsi regionali.
“Mancano candidati e cresce la disillusione”
«In molte zone del Nord – spiega Lopes – hanno influito anche gli scorrimenti delle altre specializzazioni mediche, che hanno spinto diversi candidati a scegliere percorsi formativi alternativi. Così, in sei Regioni si registrano meno aspiranti medici di famiglia rispetto ai posti disponibili, e il fenomeno comincia a toccare anche aree come la Sardegna».
Le cause di questa scarsa attrattività, aggiunge la rappresentante sindacale, sono molteplici: «Con l’inflazione e l’aumento del costo della vita, per molti giovani medici diventa oneroso affittare uno studio e pagare una segretaria, soprattutto nelle grandi città del Nord dove i prezzi sono proibitivi. Servirebbero forme di detassazione. Inoltre, la borsa di studio per la formazione in medicina generale è di soli 900 euro al mese, contro i circa 1.600 euro delle altre specializzazioni» Ma il problema non è solo economico: incide anche la soddisfazione professionale. «Siamo sommersi dalla burocrazia, che ci ruba tempo prezioso. Vogliamo tornare a visitare i pazienti e poter utilizzare strumenti diagnostici, come già fanno molti colleghi», sottolinea ancora Lopes.La Fimmg non esclude la possibilità di coinvolgere i medici di famiglia nelle Case di Comunità, ma chiede chiarezza: «Nessuno ci ha ancora spiegato quali saranno i nostri compiti all’interno di queste strutture. Inoltre, in molte zone d’Italia le Case di Comunità non sono ancora operative».
Riforme annunciate, ma pochi risultati concreti
Quella dei medici di base è un’emergenza che si trascina da anni. Nonostante proclami e promesse di riforma, poco o nulla è stato fatto.
L’ipotesi – sostenuta da molte Regioni – di trasformare i medici di famiglia in dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (oggi sono liberi professionisti convenzionati) sembra essere definitivamente accantonata.
Anche le proposte più moderate, come inserire un intervento nella delega per la riforma ospedaliera e territoriale del Ministero della Salute, rischiano di tradursi in un provvedimento di scarsa efficacia. L’unica vera novità all’orizzonte è contenuta nel DDL delega sulle professioni sanitarie, che prevede di trasferire la formazione dei futuri medici di famiglia dalle Regioni all’Università, elevando così il livello accademico del percorso. Tuttavia, secondo gli esperti, difficilmente questo basterà a invertire la rotta. Nel frattempo, gli italiani senza un medico di base continueranno ad aumentare.
Le parole del ministro Schillaci
Sulla questione è intervenuto anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, in occasione della celebrazione dei 40 anni del riconoscimento come IRCCS dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Con la nuova legge di Bilancio – ha dichiarato Schillaci – la sanità ha ricevuto oltre 7 miliardi di euro. Quando questo governo è nato, le opposizioni sostenevano che 5 miliardi sarebbero stati un risultato storico: noi ne abbiamo stanziati di più. Se qualcuno non conosce i numeri, quello è un problema reale».
Il ministro ha poi precisato: «Non è vero che in Italia mancano i medici, come dimostrano i dati Ocse. Mancano, però, specialisti in alcune aree e soprattutto infermieri. Per fronteggiare questa carenza abbiamo stanziato fondi per l’assunzione di 6mila infermieri oltre il tetto previsto, il che significa che le Regioni potranno ampliare gli organici. È la prima volta che vengono destinati fondi ad hoc per assumere oltre i limiti sia medici che infermieri».
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La finalità del divieto è di garantire la massima efficienza e funzionalità operativa all'Ssn, evitando gli effetti negativi di un contemporaneo esercizio, da parte del medico dipendente, di attività professionale presso strutture accreditate
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