
Fimmg: "Manovra, subito un Piano Marshall per la medicina territoriale. I dati confermano una medicina generale in codice rosso". L’85% delle risorse del taglio Irpef va ai più ricchi
Sempre più italiani si trovano costretti a scegliere tra la salute e le difficoltà del sistema sanitario. Liste d'attesa interminabili, costi troppo alti e strutture difficili da raggiungere spingono milioni di persone a rinunciare a visite, controlli e terapie. Secondo i dati diffusi dall'Istat, nel 2024 quasi un cittadino su dieci (9,9%) ha dichiarato di non essersi curato per uno di questi motivi: 5,8 milioni di individui, un milione e trecentomila in più rispetto all'anno precedente. La causa principale resta la lunghezza delle liste d'attesa, indicata dal 6,8% della popolazione. Un dato in crescita costante: era il 4,5% nel 2023 e appena il 2,8% nel 2019. L'Istituto di statistica sottolinea come questa sia la voce che ha registrato l'aumento più rapido, segnale di un sistema che fatica sempre più a garantire prestazioni nei tempi previsti, spingendo molti a rinunciare del tutto o a rivolgersi al privato.
Il fenomeno, ha spiegato il presidente dell'Istat Francesco Maria Chelli, è più diffuso tra le donne, che rinunciano alle cure nel 7,7% dei casi. Le percentuali salgono al 9,4% nella fascia d'età 45-64 anni e al 9,2% tra gli over 65.
«Medicina del territorio e Pronto soccorso sono vasi comunicanti: se si svuota la prima, i secondi esplodono. I dati ISTAT ascoltati oggi in Parlamento dicono che il tempo è finito: servono interventi urgenti già in Legge di Bilancio, con un Piano Marshall che orienti immediatamente formazione e assunzioni verso le specialità carenti secondo il fabbisogno reale dei cittadini, prima che il Servizio sanitario nazionale perda la sua natura pubblica e universalistica». Lo afferma Silvestro Scotti, Segretario Generale Fimmg, commentando l’audizione del presidente ISTAT sulla Manovra alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Secondo l’ISTAT, nel 2023 i medici "praticanti" sono circa 320 mila (5,3 per mille abitanti, più della media UE 4,1); gli specialisti sono circa 260 mila (81,2%), mentre i medici di medicina generale (MMG) sono meno di 40 mila (12% del totale, contro il 23% della media OCSE). I medici di medicina generale attivi sono 37.983 (0,64 per mille residenti), con una struttura anagrafica critica: il 60% ha almeno 60 anni. In dieci anni si sono persi 7.220 MMG e oltre la metà (51,7%) oggi supera il massimale di 1.500 assistiti, +4 punti sul 2022. «Questi numeri certificano che la narrazione secondo cui la carenza sul territorio non influenzerebbe i sovraccarichi dei Pronto soccorso è smentita dai fatti: quando il medico di famiglia manca o ha platee ingestibili, i cittadini finiscono in ospedale per bisogni che dovrebbero essere presi in carico vicino a casa. È importante che in Legge di Bilancio queste esigenze siano contemplate con decisione», incalza Scotti.
Per Fimmg, gli interventi da prevedere sono chiari: orientare con urgenza l’offerta formativa verso i settori carenti, a partire dalla medicina generale, con un incremento mirato dei posti e una programmazione vincolata al fabbisogno regionale e nazionale. Coinvolgere le Università per creare cultura della sanità territoriale già nel corso di laurea in Medicina, attribuendo pesi reali in crediti a esami e tirocini in setting territoriali, valorizzando tesi su questi ambiti e formalizzando rapporti strutturati tra Atenei e ASL territoriali per la didattica pratica continuativa (Case della Comunità Hub and Spoke, distretti, cure domiciliari, continuità assistenziale). Serve istituire una specialità specifica in medicina generale con un coinvolgimento diretto della stessa nella didattica ed è essenziale che la specialità in medicina generale sia strutturata con le medesime caratteristiche delle altre, ma restando nel Titolo IV dell'attuale DLgs 368, senza essere ricondotta al Titolo III, fatto che determinerebbe la possibilità di equipollenza con altre discipline, impedendo in questo caso quanto previsto dalle norme comunitarie.
«Senza queste misure - prosegue Scotti - continueremo a spostare il problema da un reparto all’altro, mentre i cittadini perderanno accesso, continuità e prossimità delle cure. Sarebbe drammatico, se si considera che già oggi l’ISTAT certifica che un italiano su 10 (9,9%) ha rinunciato a visite o esami diagnostici — pari a 5,8 milioni di persone, contro i 4,5 milioni del 2023 - per liste d’attesa (6,8%), difficoltà economiche o di spostamento verso le sedi di cura. Il Servizio sanitario nazionale si salva solo ricostruendo, adesso, la sua prima linea: la medicina generale. È chiaro che oggi si pagano inefficienze anche pregiudiziali di anni di mancato governo su questi temi. Al Governo attuale – conclude Scotti - il compito di provare a risolvere, noi siamo pronti a dare il nostro contributo, ma le risposte ormai sono da codice rosso».
A preoccupare l’Istat, dunque, è soprattutto la struttura del personale sanitario. L’Italia detiene la quota più alta di medici anziani in Europa: il 44,2% ha più di 55 anni e oltre uno su cinque supera i 65. I medici in attività sono circa 320 mila (5,3 per mille abitanti), ma i medici di medicina generale sono in calo: 37.983 nel 2023, il 60% con più di 60 anni. Sul fronte infermieristico la dotazione resta inferiore alla media UE: 405 mila infermieri in servizio, pari a 6,9 per mille abitanti contro gli 8,3 europei. Il rapporto infermieri/medici è di 1,3, quasi la metà della media Ocse (2,5). Anche in questa categoria si osserva un progressivo invecchiamento: un terzo ha tra 45 e 54 anni, e uno su quattro ha già superato i 55. Sul versante dell’accesso ai servizi, la situazione si è aggravata. Nel 2024 quasi un italiano su dieci (9,9%) ha rinunciato a visite o esami diagnostici — pari a 5,8 milioni di persone, contro i 4,5 milioni del 2023. La causa principale restano le liste d’attesa (6,8%), seguite da difficoltà economiche e logistiche. Il fenomeno colpisce soprattutto donne e anziani, e mostra un aumento uniforme in tutto il Paese: dal 2-3% del 2019 si è passati a valori sopra il 6-7% in tutte le aree geografiche.
Infine, l’Istat dedica un focus alla malattia di Alzheimer e alle demenze senili, patologie per le quali è previsto un finanziamento ad hoc nel disegno di legge. Nel 2024, il 4,7% degli over 65 che vivono in famiglia è affetto da queste malattie, con prevalenze doppie tra le donne (6,2%) rispetto agli uomini (2,8%). Nel 2022 i decessi attribuiti a demenze e Alzheimer sono stati 37.127, pari al 5% della mortalità totale, e in costante aumento da un decennio. Le aree più colpite sono il Centro e il Sud, dove l’assistenza domiciliare sopperisce alla carenza di strutture dedicate. Nonostante l’aumento dei fondi previsti nel bilancio 2026 per rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale e sostenere il personale, i dati Istat indicano che le disuguaglianze territoriali e la carenza di risorse umane restano le principali criticità del sistema. Una sfida che il Paese dovrà affrontare per garantire l’effettiva equità di accesso alle cure.
L'Istat analizza anche il bonus sulla Manovra. Il taglio della seconda aliquota Irpef, presentato dal governo come il primo vero aiuto al “ceto medio“? Finirà per riversare oltre l’85% delle risorse sulle famiglie con i redditi più alti. E il nuovo Isee “potenziato”, presentato come misura per ampliare l’accesso ai sostegni sociali? Quasi il 70% dei vantaggi andrà ai quinti centrali della distribuzione, mentre le famiglie più povere – pur ottenendo un piccolo guadagno percentuale maggiore – saranno “una quota molto esigua” di quelle beneficiate dalla misura. Il potenziamento del bonus mamme? Tre quarti del beneficio totale andrà a vantaggio delle famiglie dei quinti centrali della distribuzione del reddito. Nell’ultimo giorno di audizioni sulla legge di bilancio 2026 davanti alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, l’Istat mette in fila numeri difficili da conciliare con la narrazione governativa.
Partiamo dal taglio dell’aliquota Irpef di mezzo dal 35 al 33%, l’intervento che la maggioranza prometteva da tempo alle fasce che non hanno goduto degli sgravi contributivi riservati a chi guadagna meno di 35mila euro l’anno. Era già noto che il vantaggio pieno, per il meccanismo degli scaglioni, andrà solo a chi è sopra i 50mila euro di stipendio annuo. Ora l’istituto di statistica conferma innanzitutto come la misura, che costa 2,9 miliardi e coinvolge 14 milioni di contribuenti, abbia effetti minuscoli visto che per tutte le classi di reddito la variazione è “inferiore all’1% del reddito familiare“. In più il presidente dell’Istituto, Francesco Maria Chelli, spiega che oltre l’85% delle risorse sono “destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito”. Buone notizie per “oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto”. In soldoni, di quanto si appesantiranno le buste paga? “Dai 102 euro per le famiglie del primo quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo”. A cui andrà, stando alle tabelle Istat, il 62% del guadagno. Diagnosi confermata dal vicecapo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, che ha osservato a sua volta come la riduzione dell’aliquota “favorisce i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione dei redditi” e le misure “non comportano variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile equivalente”.
Una redistribuzione squilibrata che riguarda anche altre misure inserite nel ddl ora all’esame dal Parlamento. A partire dalla revisione dell’Isee. L’articolo 47 della manovra alza la soglia di esclusione della prima casa dal calcolo patrimoniale da 52.500 a 91.500 euro di valore catastale e introduce nuove maggiorazioni nella scala di equivalenza per i nuclei con figli. Il risultato, calcola l’Istat, è un beneficio medio di 145 euro annui per 2,3 milioni di famiglie (l’8,6% del totale). Ma anche qui, quasi il 70% dei vantaggi si concentra nei quinti centrali della distribuzione del reddito. “Le famiglie più povere ottengono un beneficio leggermente più elevato in rapporto al reddito (+2,2%)”, è la sintesi, “ma rappresentano solo una piccola parte dei nuclei che trarranno vantaggio dalla misura poiché già rientravano nei requisiti di accesso e ricevevano importi più elevati dei trasferimenti”. In questo caso, dunque, ad essere favoriti sono i proprietari di casa con redditi medi. Ma la norma contribuisce anche a complicare ulteriormente il sistema, perché questo Isee depurato verrà considerato solo per valutare il diritto ad Assegno di inclusione e Supporto formazione lavoro, Assegno unico universale, Bonus per l’asilo nido e Bonus nuovi nati. “Di fatto, il legislatore introduce una nuova tipologia di Isee che si andrebbe ad aggiungere a quelle già esistenti”, senza che ce ne fosse alcun bisogno, mette nero su bianco l’Istat, visto che “il medesimo obiettivo redistributivo potrebbe essere ottenuto in sede di definizione dei requisiti di accesso ai singoli trasferimenti”.
L’intervento è finito anche sotto la lente di ingrandimento dell’Ufficio parlamentare di bilancio, la cui presidente Lilia Cavallari in audizione ha sottolineato come la modifica porti a “una disparità di trattamento a sfavore di quelle famiglie che più hanno risentito della crescita dei prezzi nel mercato immobiliare”. La modifica della franchigia sulla prima casa, ha detto Cavallari, “in assenza di una corrispondente modifica della franchigia prevista per i nuclei in affitto, appare come una scelta di policy ben definita in favore di specifici nuclei familiari” e introduce “elementi di iniquità riconoscendo ai nuclei che vivono in abitazioni di proprietà, a parità di condizione economica e numerosità delle famiglie, una priorità nell’accesso alle prestazioni e maggiori benefici in termini di erogazioni, ove previsto”.
"Il perseguimento di una politica di bilancio attenta" non vuol dire che con la manovra il governo non abbia puntato a dare "risposte a esigenze profonde del Paese", replica il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti in audizione sulla manovra rivendicando quanto fatto con la legge di bilancio e citando fra gli interventi anche quello sull'Irpef che con la riduzione dell'aliquota dal 35 al 33% "tutela i contribuenti con redditi medi, ed estendendo la platea di chi aveva beneficiato del cuneo fiscale coinvolge il 32% del totale dei contribuenti" per un valore del beneficio medio atteso di 218 euro all'anno" che arriva a toccare per le fascia più alta interessata i "440 euro". Il titolare del Tesoro ricorda la presenza dei vari "interventi di carattere fiscale per famiglie, famiglie numerose, supporto alla genitorialità, sanità, imprese". La manovra "si inserisce in un quadro congiunturale incerto nel cui l'attenzione sulle politiche bilancio perseguita dagli Stati è molto elevata. Una politica di bilancio attenta a garantire la sostenibilità del debito e in linea con le regole di governance Ue può garantire una stabilità economica finanziaria del nostro Paese che si trova a rinnovare ogni anno 400 miliardi titoli debito pubblico", precisa in audizione il ministro Giorgetti, sottolineando che la manovra "conferma la strategia seguita dal governo negli ultimi 3 anni, un approccio che in periodo complicato" ha bilanciato il "supporto a specifici settori con l'esigenza di mantenere in ordine i conti pubblici".
"Un'attenta conduzione della politica di bilancio ha contribuito al recente miglioramento del rating e dei titoli del debito pubblico. I risultati riflettono la crescente credibilità sui mercati conquistati dall'Italia di cui hanno beneficiato anche le istituzioni finanziarie e le aziende. Il mantenimento di una politica di bilancio responsabile è un requisito fondamentale per il nostro paese". "Innanzitutto questa è l'ultima" rottamazione, "in secondo luogo questa è una sorta di spalmatura, una rateazione. Noi non pensiamo di perdere gettito, naturalmente è distribuito in modo diverso. E' una norma volta soprattutto a favore di quelle imprese che non ce la fanno o non ce la farebbero a continuare l'attività se dovessero onorare tutto il debito in modo immediato", afferma il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti a margine dell'audizione. "Da un lato c'è questa spalmatura del debito, dall'altra un po' di fiato per chi in questo momento ha difficoltà", ha aggiunto.
Lieve miglioramento in alcuni Paesi; il 3% è sottopeso
Da Alzheimer a malattie cardiache, basta un esame del sangue
Testa: "Dopo oltre dieci anni la Legge Balduzzi ha dimostrato tutti i suoi limiti. Ha indebolito la medicina generale, ridotto l’autonomia dei medici"
Silvestro Scotti (Fimmg): "Un cambio di passo importante ma non siamo ancora al traguardo, entro giugno l’accordo 2025 – 2027"
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
Commenti