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Colesterolo LDL alto, cambia la prevenzione: così si evitano i primi infarti

Cardiologia Redazione DottNet | 05/12/2025 15:57

I nuovi dati presentati al congresso SIC mostrano che il 50% degli infarti avviene senza segnali: terapie innovative e PCSK9 utili anche in prevenzione primaria

Il colesterolo LDL alto è tornato al centro del dibattito nella prevenzione cardiovascolare. È quanto emerge dal Congresso annuale della Società Italiana di Cardiologia (SIC), giunto alla sua 86esima edizione. Gli infarti colpiscono sempre più spesso persone apparentemente “sane”, che non hanno precedentemente manifestato sintomi o segni premonitori. È un cambio di prospettiva per la cardiologia clinica, che spinge verso una revisione delle strategie di prevenzione e gestione del rischio.

Secondo i dati SIC, metà dei 600 infarti che avvengono ogni giorno in Italia riguarda persone senza alcun precedente.

Si tratta di individui che non hanno mai avuto avvisaglie di malattia coronarica e che, proprio per questo, non ricevono spesso una terapia adeguata a correggere il colesterolo LDL alto, principale causa dell’aterosclerosi. È in questo scenario che la ricerca degli ultimi anni ha iniziato a valutare un cambio di rotta: anticipare il trattamento contro l’ipercolesterolemia, intervenendo così sulla progressione della placca per ridurre il rischio ed evitare che l’infarto arrivi come primo segno clinico.

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In questo modo Pasquale Perrone Filardi, presidente della SIC, sintetizza la portata di questo cambiamento: “La sfida del futuro, sulla base degli studi attualmente in corso e delle nuove Linee Guida europee sulle dislipidemie, è curare la progressione dell’aterosclerosi stabilizzando le placche per impedire i primi infarti”. Un intervento precoce consente di proteggere una fascia di popolazione molto più ampia e spesso trascurata proprio perché non presenta una storia clinica di eventi cardiovascolari.

Nei decenni passati era la prevenzione secondaria ad avere la priorità: gli sforzi terapeutici erano diretti sui pazienti già colpiti da un infarto o da un ictus. Nel tempo si è compreso come questa impostazione rischi di essere limitante. Se metà degli infarti arriva “a sorpresa”, significa che un intero segmento della popolazione non viene intercettato in tempo. E il problema principale, in moltissimi casi, è proprio correlato al colesterolo LDL alto, non adeguatamente trattato o non sufficientemente ridotto con la sola terapia statinica. La conferma è arrivata proprio quest’anno da uno studio potenzialmente rivoluzionario per la cardiologia, ma anche per la medicina generale, da sempre centrale nella prevenzione: il trial VESALIUS-CV.

VESALIUS-CV: come trattare il colesterolo LDL alto anche prima dell’infarto 

VESALIUS-CV è il primo studio mirato a dimostrare l’efficacia degli inibitori di PCSK9 in prevenzione primaria, nella coorte di persone che non hanno mai avuto un evento cardiovascolare ma che presentano livelli persistenti di colesterolo LDL alto nonostante l’uso ottimale delle statine. Il lavoro è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine e ha coinvolto 12.300 pazienti in 36 Paesi per una durata di oltre quattro anni.

Il farmaco studiato, evolocumab, è un anticorpo monoclonale già utilizzato nella prevenzione secondaria, dove ha dimostrato di saper ridurre significativamente il rischio di infarto e ictus nei pazienti ad altissimo rischio. Comprenderne l’efficacia in una fase precoce di malattia aterosclerotica era dunque la finalità principale. Evolocumab, aggiunto alle statine, ha dimostrato di poter ridurre in modo significativo l’incidenza di eventi cardiovascolari anche nei pazienti privi di un infarto pregresso, evidenziando che la progressione dell’aterosclerosi può essere modificata farmacologicamente anche quando non si sono ancora verificati danni irreversibili.

Secondo Ciro Indolfi, past-president della SIC, "questo studio apre la strada a un nuovo approccio globale alla prevenzione. Per la prima volta, possiamo intervenire in modo aggressivo sul colesterolo LDL alto anche nei pazienti che non hanno mai avuto un evento acuto, riducendo il rischio futuro e potenzialmente salvando migliaia di vite". Si tratta ora di tradurre i risultati della ricerca nella pratica clinica per raggiungere gli obiettivi indicati dalle Linee Guida.

Il problema dell’aderenza terapeutica 

Uno dei dati più discussi al congresso SIC riguarda la scarsa aderenza terapeutica nella popolazione ad alto rischio. Il programma EuroAspire VI, coordinato dalla Società Europea di Cardiologia, mostra una fotografia emblematica: solo il 16,8% dei pazienti ad alto rischio raggiunge la soglia di 70 mg/dL di colesterolo LDL, mentre appena l’8% dei pazienti a rischio molto elevato arriva sotto i 55 mg/dL, considerato il target ideale per prevenire nuovi eventi.

I motivi vanno cercati nei timori verso l’utilizzo delle statine. È un problema culturale amplificato dai social media, dove spesso a questi farmaci vengono attribuiti malesseri non correlabili. La vera intolleranza alle statine, infatti, si limita al 5–6% dei casi. Altri motivi vanno ricercati nella scarsa consapevolezza del rischio, in sospensioni immotivate della terapia, nella mancanza di follow-up regolari e, in alcuni casi, in una sorta di “inerzia terapeutica” da parte degli operatori sanitari.

Questo quadro rende evidente il motivo per cui tanti pazienti con colesterolo LDL alto non riescono a raggiungere i valori target: non è solo un problema di farmaci disponibili, ma soprattutto di continuità terapeutica. Una possibile soluzione potrebbe giungere dall’arrivo della prima pillola anti-PCSK9.

La prima pillola anti-PCSK9 può migliorare l’aderenza? 

Fino a oggi, gli inibitori di PCSK9 erano disponibili solo in formulazioni iniettive, molto efficaci ma spesso vissute dai pazienti come impegnative o difficili da integrare nella routine quotidiana. Un ostacolo superabile con l’adozione di enlicitide, inibitore di PCSK9 in forma di compressa.

Gli studi clinici di fase 3 su enlicitide hanno mostrato una riduzione del colesterolo LDL superiore al 50%, sovrapponibile agli anticorpi monoclonali iniettivi, e un profilo di sicurezza eccellente, paragonabile al placebo. Gianfranco Sinagra, presidente eletto SIC, sottolinea come questa innovazione possa aiutare proprio quella fascia di popolazione che fatica maggiormente a mantenere nel tempo una terapia continuativa: “Enlicitide abbassa i livelli di colesterolo LDL offrendo l’efficacia tipica degli anticorpi monoclonali in una compressa quotidiana. È un’opzione che colma un bisogno terapeutico reale, soprattutto in quei pazienti con aterosclerosi avanzata o colesterolo LDL alto persistente nonostante le terapie disponibili”.

L’arrivo della pillola anti-PCSK9, unito alle nuove evidenze di efficacia in prevenzione primaria, ridisegna un orizzonte più ampio per la gestione globale del rischio cardiovascolare.

Il quadro emerso dal congresso SIC mostra con chiarezza che il colesterolo LDL alto non è un semplice indicatore di rischio, ma un bersaglio terapeutico prioritario su cui intervenire prima possibile. Le nuove evidenze scientifiche, l’efficacia degli inibitori di PCSK9 in prevenzione primaria e l’arrivo delle formulazioni orali permettono oggi di proteggere in modo più efficace una popolazione ampia e ancora sottotrattata. Anticipare il trattamento significa ridurre l’incidenza di infarti inattesi, superare l’inerzia terapeutica che ancora ostacola la prevenzione e contribuire a un sostanziale miglioramento degli esiti cardiovascolari.

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