Il nuovo protocollo varato dai cardiologi aiuta a tagliare le liste di attesa
Tagliare le liste di attesa e le visite inutili con un ''triage'' del cuore. Sono circa 150.000 gli italiani che ogni anno si sottopongono a un'angioplastica, ma dopo l'intervento non esiste un percorso codificato di visite ed esami. Solo uno su cinque nell'arco di due anni ha bisogno di almeno cinque visite ed esami strumentali di controllo perché ad alto rischio, ma oggi anche chi è a basso rischio, il 15% del totale, torna dal cardiologo in media oltre quattro volte. Un nuovo protocollo sperimentato per due anni su quasi 800 malati, riduce le visite del 39%, tagliando le liste d'attesa e dando a ciascuno l'assistenza migliore: basta inserire i pazienti in una delle tre categorie a rischio crescente e poi attenersi ai controlli raccomandati, più o meno ravvicinati anche a seconda della complessità della terapia necessaria.
Il "triage" del cuore mentre il paziente è ancora ricoverato dopo un intervento di angioplastica permette quindi di tagliare visite inutili e le liste d'attesa e garantire ai pazienti una migliore qualità di vita e cure più appropriate e innovative.
Obiettivo, far sì che le Regioni implementino questi semplici protocolli, che si sono dimostrati estremamente efficaci, così da migliorare l'appropriatezza delle prestazioni e la qualità di vita dei pazienti anche grazie all'ausilio dei più moderni approcci terapeutici. "L'idea che ci ha mosso è semplice: fare più controlli ai soggetti ad alto rischio dopo un'angioplastica e meno visite a chi invece ha una bassa probabilità di avere ulteriori problemi, in una sorta di follow up 'sartoriale' tagliato su misura sulla base delle reali esigenze di ciascun malato - spiega Giuseppe Musumeci, Presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), direttore della Cardiologia dell'ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, cogestore del progetto dei medici di medicina generale che hanno accesso alle terapie più innovative e responsabile scientifico del convegno -. E' necessario accertare la classe di rischio del paziente, ma bastano pochi minuti per farlo: abbiamo individuato tre categorie A, B e C a rischio decrescente e verificato che il 15% dei pazienti è in classe C, a basso rischio, mentre il 65% ricade nella categoria intermedia B e il 20% in quella a pericolo maggiore A. "La nostra strategia è di semplice applicazione, dovrebbe e potrebbe essere attuata in tutta Italia, ma serve un coinvolgimento più attivo delle istituzioni, conclude Musumeci.
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