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Brexit, la May attacca l'Ue. Intanto è fuga dei medici italiani

Professione Redazione DottNet | 02/09/2018 18:45

La carenza di personale sanitario in Gran Bretagna si sta facendo sentire. Il crono programma della scissione

La Brexit si sta facendo più dura del previsto. Soprattutto per il personale sanitario europeo che lavora in Gran Bretagna. Secondo un sondaggio della British Medical Association, il 45% dei medici europei che lavorano per l'Nhs sta pensando di lasciare il Paese, mentre il 18% ha già trovato lavoro altrove. In Inghilterra 62mila cittadini Ue lavorano per il servizio sanitario nazionale e di questi oltre 6mila sono italiani, anche se nonostante le resistenze, molti professionisti del nostro Paese credono ancora nel Regno Unito. (CLICCA QUI PER LEGGERE SUL FUTURO DEI MEDICI ITALIANI IN GRAN BRETAGNA)

E infatti nel 2017 il numero di medici in arrivo dalla Ue è sceso a 3.458, un calo del 9% ai minimi da otto anni, secondo i dati del General Medical Council (CLICCA QUI PER LE CIFRE CHE RIGUARDANO I MEDICI ITALIANI). Questo sta creando problemi per l’Nhs, che è alle prese con una crisi finanziaria e una mole di lavoro in costante aumento a causa dell’allungamento della vita media e dell’incremento di condizioni mediche croniche. La ragione per l’esodo di medici europei è sempre la stessa: l’impossibilità di pianificare sul lungo termine e avere la certezza di un futuro lavorativo stabile in Gran Bretagna. Nonostante l’accordo preliminare siglato nel dicembre scorso tra Londra e Bruxelles, ci sono ancora diversi punti interrogativi sui diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito post Brexit, soprattutto per chi non è qui da molti anni.

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Intanto la May affronta a muso d'oro gli oppositori promettendo "Nessun compromesso con l'Ue sul piano per la Brexit che non sia nell'interesse della Gran Bretagna". La premier Theresa May sfrutta le colonne del conservatore Daily Telegraph per rabbonire la fronda interna al partito conservatore e stroncare sul nascere l'ipotesi di un secondo referendum sull'accordo con l'Ue. "Sarebbe un tradimento della nostra democrazia e della fiducia" del popolo britannico, ha tagliato corto il primo ministro nel suo lungo editoriale.

Alla May dalle colonne di un altro giornale, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, risponde indirettamente il capo negoziatore di Bruxelles Michel Barnier avvertendo ancora una volta Londra che il divorzio dall'Ue non sarà 'a la carte' e confermando l'ipotesi di una breve estensione dei colloqui a metà novembre. "Non mi farò costringere a nessun compromesso sull'accordo di Chequers che non sia nel nostro interesse nazionale. Per questo ci stiamo preparando all'eventualità di un 'no deal' se sarà necessario", ha scritto la premier sul quotidiano.

L'accordo citato è quello raggiunto dal governo il 6 luglio scorso nella residenza di campagna del primo ministro che prevede un'uscita 'soft' del Regno Unito. Un accordo che non piace ne' a Bruxelles ne' ai parlamentari Tory più euroscettici e al governo britannico è già costato due ministri di peso. Da allora, rassicura May sul Telegraph, sono stati fatti "veri progressi" nei negoziati soprattutto nel settore del "commercio di beni industriali e prodotti agricoli". E' sull'economia, infatti, che si gioca la partita più difficile, forse l'unica che conta davvero, con Bruxelles ma anche in casa.

Su questo punto Barnier è stato molto meno rassicurante della May dichiarando apertamente di essere "fortemente contrario" alle proposte economiche contenute nel piano di Chequers. "La Gran Bretagna non potrà scegliere quali regole seguire e quali ignorare. Se decidono di restare nel mercato unico devono accettare tutte le regole e dare il loro contributo alla solidarietà europea", ha dichiarato l'ex ministro francese probabilmente riferendosi a quel passaggio, frutto del difficile compromesso trovato con i 'brexiteers' più duri e puri, in cui si dice che il Regno Unito resterà fuori dal mercato comune ma con un accordo di libero scambio con l'Ue. Il tempo stringe. Ufficialmente i negoziati devono concludersi entro il vertice Ue del 18 ottobre. Per Barnier a questo punto servono "decisioni politiche". Ma con il governo sempre più frantumato e la maggioranza parlamentare divisa per la May questo potrebbe essere più complicato di quanto non lasci intendere.

La sanità inglese sta scontando anche la carenza di infermiere e infermieri: ne mancano 40mila, secondo dati dello stesso servizio sanitario, mentre il numero di richieste di impiego di personale Ue è crollato del 96% nel 2017. Paradossalmente, Brexit avrebbe dovuto essere l’inizio del rilancio dell’Nhs.

Le date

Dal 30 settembre al 3 ottobre 2018: conferenza del partito dei Conservatori al governo –  È possibile che in questi giorni qualche esponente del partito metta in discussione la leadership di Theresa May, già messa a dura prova dalle dipartite di membri di spicco come l’ex segretario degli Esteri Boris Johnson, uno dei grandi promotori della Brexit

18 ottobre 2018: Summit UE –  È la data in cui potrebbero essere gettate le basi sulle future relazioni che intercorreranno tra le due aree. Si parla già di convocare un summit di emergenza per novembre nel caso in cui questo meeting si concluda con un nulla di fatto.

31 ottobre 2018: scadenza originale dei negoziati, poi slittata –  Era la data che all’inizio era stata citata da Barnier per la conclusion dei colloqui, in modo da dare tempo ai 27 paesi membri dell’UE di ratificare gli accordi.

Dal 6 al 12 novembre 2018: voto in parlamento a Londra

13 dicembre 2018: Summit UE –  Se non c’è accordo entro ottobre, questo è l’appuntamento da monitorare e l’ultima chance per trovare un’intesa.

Dal 20 dicembre 2018 al 7 gennaio 2019: approvazione da parte del parlamento britannico

Data ancora da definire: le due Camere voteranno sul trattato di divorzio – La data dipenderà da quando e se un accordo tra Londra e Bruxelles viene raggiunto.

29 marzo 2019: fine dei negoziati sulla Brexit –  Londra se ne andrà ufficialmente alle 23 ora nazionale di quel venerdì. Succederà in ogni caso, anche se non è stato raggiunto un accordo.

Dal 29 marzo 2019 al 31 dicembre 2020: periodo di transizione: Londra è fuori dall’Ue ma è come se ne facesse ancora parte.

I due anni di transizione

La banca d'Inghilterra ha provato a misurare l’impatto che un eventuale soft Brexit avrebbe sui mercati, dove la sterlina continua a essere messa sotto pressione. Se viene raggiunta un’intesa su tutte e tre le tematiche più calde (quanto Londra deve all’UE, cosa succede con il confine con l’Irlanda del Nord e quello che succede ai cittadini britannici che vivono in Ue o viceversa a quelli europei che vivono nel Regno Unito), allora entreremo in un periodo di transizione di due anni.

Questo consentirà al governo di prendere tempo prezioso per definire altri dettagli complessi, come per esempio come verrà gestita la libero circolazione delle persone, una delle reazioni per cui il 52% di britannici ha deciso di votare a favore del Leave a giugno 2016.

La libera circolazione delle persone continuerà per altri due anni ma poi bisognerà trovare una soluzione. Londra potrà trattare con altri partner commerciali per trovare accordi bilateral, ma nessuno di questi patti entrerà in vigore prima del primo gennaio 2021.

I mercati finanziari al momento scommettono che una Brexit senza accordi sia lo scenario più scontato. Viste le divisioni politiche non solo in Parlamento ma anche all’interno dei Conservatori al governo, pure un secondo referendum resta una possibilità. La sterlina è sempre sotto pressione, specie nei confronti dell’euro e i dati CFTC mostrano che gli speculatori si stanno posizionando contro la divisa britannica. Al contempo, tuttavia, BNY Mellon osserva che altri indici di propensione al rischio (quali i EUR/GBP risk reversals) dicono che il nervosismo è relativamente moderato, o che per lo meno è distante dai livelli estremi toccati nell’estate del 2016, subito dopo l’esito choc del referendum.

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