Longhi (IoR), nel 90% è possibile salvare l'arto dall'amputazione
Tumori rari che colpiscono più spesso giovani e giovanissimi, i sarcomi dei tessuti ossei, negli ultimi quarant'anni, hanno visto enormi passi avanti nella cura, con un aumento della sopravvivenza del 60%. E "la vera 'rivoluzione' nella cura è stata l'introduzione della chemioterapia". A spiegarlo è Alessandra Longhi, responsabile dell'Unità di Chemioterapia dei tumori dell'apparato locomotore presso l'Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, centro di eccellenza per la cura di queste neoplasie spesso particolarmente aggressive.
Fino agli anni Sessanta, spiega l'esperta, non si utilizzava la chemioterapia.
I farmaci chemioterapici sono rimasti fondamentalmente gli stessi. Quello che c'è stato di nuovo negli ultimi anni, prosegue Longhi, "è l'introduzione della cosiddetta terapia neoadiuvante o preoperatoria. Viene fatta prima dell'intervento per ridurre la massa tumorale, ed è seguita comunque da una chemio post-operatoria". E' un percorso impegnativo, che dura dai 6 ai 9 mesi, ma con risultati enormemente migliorati rispetto a quando si faceva solo la chirurgia. Per curare i sarcomi ossei è comunque sempre necessaria un'operazione per l'asportazione del tumore. Ma, conclude Longhi, "se fino a qualche decennio fa l'unico intervento possibile era l'amputazione dell'arto, oggi il 90% dei pazienti riesce a salvarlo. Merito anche della diffusione di endoprotesi, ovvero protesi interne, che possono ricostruire in tutto o solo in parte l'osso attaccato da tumore".
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