In Italia solo il 37% degli ipertesi raggiunge i 130 mmHg di pressione sistolica
L' ipertensione arteriosa è uno dei più importanti fattori di rischio per malattie cardiovascolari e ictus, i farmaci a disposizione per trattarla sono molti e ben collaudati, ma ancora troppo pochi sono i pazienti che raggiungono l' obiettivo dei 130 mmHg di pressione sistolica, in Italia appena il 37% degli ipertesi. Le nuove linee guida europee e americane dell' ipertensione suggeriscono dunque nuove strategie di trattamento per colmare questo gap: associazione di due farmaci in un' unica pillola da subito, per raggiungere il target di trattamento entro tre mesi. Alle più recenti strategie terapeutiche contro l' ipertesione sono state dedicate molte relazioni al congresso della Società italiana di prevenzione cardiovascolare (Siprec), a Napoli. In Italia - si legge in una nota - recenti studi epidemiologici hanno rivelato che solo il 37% degli ipertesi è 'a target', cioè presentava dei livelli di pressione ottimale: un problema non da poco, considerato che ad essere affetto da ipertensione è circa un quarto degli adulti e oltre il 70% degli over65.
Un 'fallimento' terapeutico e un appuntamento mancato con la prevenzione cardiovascolare che può avere tante spiegazioni: dalla mancata aderenza alla terapia (il numero dei 'discontinuers', cioè di chi abbandona il trattamento, supera il 50-60% del totale secondo recenti indagini condotte in Italia), alla necessità di rivedere strategie e obiettivi terapeutici.
"La tradizionale terapia 'a scalini' dell' ipertensione arteriosa - riflette Volpe - non consente di raggiungere il traguardo terapeutico dei 130 mmHg di sistolica entro 3 mesi. Per questo le nuove linee guida suggeriscono di iniziare subito il trattamento con un' associazione di due farmaci (tipicamente un Ace-inibitore o un sartano insieme ad un calcioantagonista o a un diuretico), preferenzialmente in associazione precostituita, cioè in un' unica pillola, per favorire la compliance del paziente. La monoterapia andrà riservata ai pazienti con ipertensione di grado 1, agli anziani e ai pazienti più fragili, che non rappresentano più del 20-25% degli ipertesi''.
Gli studi clinici hanno dimostrato che prima si raggiunge l' obiettivo terapeutico, maggiore e più sostenuto sarà il vantaggio cardiovascolare. "Nei cosiddetti 'immediate responders''- spiega ancora Volpe - si ottiene infatti una maggiore riduzione degli eventi cardiaci fatali e non fatali, dei casi di ictus e di infarto, dei ricoveri per scompenso cardiaco e della mortalità per tutte le cause. Seguendo i criteri della rapida riduzione della pressione arteriosa (raggiungere il target di sistolica entro tre mesi) e di utilizzare da subito le associazioni di due farmaci all' interno di una singola pillola, probabilmente la nostra generazione di medici riuscirà finalmente a vedere ridotta in maniera importante la percentuale di ipertesi non a target''
"L' ipertensione arteriosa - afferma Giuliano Tocci, responsabile del Centro ipertensione dell' Ospedale Sant' Andrea e professore associato di cardiologia, Università 'Sapienza' di Roma - rappresenta ancora oggi il principale fattore di rischio responsabile di eventi fatali a livello mondiale". Nonostante sia nota da tempo la stretta relazione esistente tra ipertensione e rischio di eventi cardiovascolari fatali, il controllo dell' ipertensione arteriosa in Italia e nel mondo è ancora largamente insoddisfacente."Sulla base di tali considerazioni e in virtù dell' enorme impatto socio-economico e sanitario a livello della popolazione generale - prosegue Tocci - appare giustificato il grande interesse rivolto alle nuove edizioni delle linee guida internazionali per la diagnosi e la terapia dell' ipertensione arteriosa".
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