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Fibrosi cistica, a 25 anni dalle legge serve un'applicazione uniforme

Medicina Interna Redazione DottNet | 03/04/2019 14:15

Lifc, focus su adulti e qualità di vita

L'aspettativa di vita è aumentata per le persone con fibrosi cistica, ora la sfida sta nel rendere la qualità di vita sempre migliore, centrando l'attenzione soprattutto sui pazienti adulti (che nel 2016 rappresentano il 56,7%)e su temi come l'assistenza e le cure. Questo il messaggio lanciato oggi dalla Lega italiana fibrosi cistica, in un convegno in Senato per i 25 anni dalla legge 548 del 1993, sulle Disposizioni per la Prevenzione e la Cura della Fibrosi Cistica.

  Per questa malattia rara, che colpisce circa 6 mila persone in Italia ed è la patologia genetica grave più diffusa, rispetto al passato l'aspettativa di vita è aumentata: tra il 2014 e il 2016 è cresciuta del 5,38% passando da 35,3 a 37,2 anni. Precedentemente all'entrata in vigore della Legge, tra il 1988 e il 1991, l'età media di sopravvivenza si attestava sui 14,7 anni (+152 per cento al 2016).

"La legge - evidenzia Gianna Puppo Fornaro, presidente della Lega italiana fibrosi cistica - ha istituito in ogni Regione un Centro specializzato, assicurato la gratuità dei farmaci e stanziato fondi per la ricerca, oltre ad aver implementato il ricorso allo screening neonatale. Tutti elementi che hanno contribuito ad allungare l'aspettativa di vita: c'è la necessità di garantire alle persone in età adulta la migliore qualità della vita che passa anche dalla realizzazione professionale e dalla possibilità di curarsi presso strutture adeguate, non più pensate a misura di bambino". Per la Lifc serve adottare strumenti di monitoraggio in grado di ottimizzare e controllare l'uso delle risorse pubbliche a sostegno delle strutture dedicate, al fine di garantire ai pazienti uniformità. Un intervento in linea con il bisogno di garantire, su tutto il territorio nazionale, la corretta applicazione della Legge.  "Questa legge ha fatto fare anche più passi all'assistenza farmacologica e alla ricerca - conclude Maria Pia Garavaglia, presidente di Fondazione Roche - c'è da chiedere che l'Italia la applichi uniformemente, in particolar modo al Sud"

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