La Suprema Corte ha condiviso l' argomentazione del Tribunale di Napoli sul carettere 'dirimente dell' assenza del consenso manifestato dalla vittima allo svolgimento della visita ginecologica'
E' legittima la misura cautelare della sospensione dalla professione medica, sia in ambito pubblico che privato per la durata di 12 mesi (il massimo previsto), per il medico di pronto soccorso indagato, e con 'gravi elementi indiziari' a suo carico, per violenza sessuale ai danni di una paziente. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 24653 del 3 giugno, respingendo il ricorso di un sanitario, impiegato presso il presidio di un piccolo comune della provincia di Benevento, contro l' ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli. Questi i fatti: una donna di giovane eta' si era presentata nella struttura ospedaliera lamentando forti dolori alle gambe. Il medico di turno, per tutta risposta, l' aveva sottoposta ad una visita ginecologica non solo non richiesta ma anche osteggiata e condotta con modalita' inadeguate; cessata unicamente perche' la ragazza era riuscita a divincolarsi ed uscire dalla stanza raccontando tutto ai familiari ed ai Carabinieri.
Riguardo ai motivi di ricorso presentati dal medico, la Cassazione ha condiviso l' argomentazione del Tribunale di Napoli sul carettere 'dirimente dell' assenza del consenso manifestato dalla vittima allo svolgimento della visita ginecologica'. 'Chiaro infatti - si legge nella decisione -, che la persona offesa, gia' scettica rispetto alla necessita' di prestarsi alla visita, che poco aveva a che fare con il dolore da lei lamentato, aveva fatto affidamento sul corretto esercizio della professione da parte del medico'. E 'solo quando aveva compreso le reali intenzioni del sanitario si era ribellata, girando bruscamente la gamba e manifestando, in tal modo, il proprio chiaro dissenso'.
La manifestazione del dissenso, infatti, 'non deve ricercarsi nella fase antecedente alla visita (sebbene la vittima abbia piu' volte riferito di aver manifestato la propria resistenza)', come sostenuto dal ricorrente, 'bensi' nel momento in cui, prima convinta della competenza e professionalita' del sanitario, aveva percepito l' anomalia della sua condotta e si era dunque ribellata'. Respinto anche l' ulteriore argomento secondo cui non essendo un ginecologo, non vi sarebbe stato il pericolo di reiterare la condotta. 'E' palese, infatti - prosegue la Corte -, che l' indagato si ritroverebbe nella possibilita' di porre nuovamente in essere le condotte di violenza di cui si discute, dal momento che svolge l' attivita' medica ed e' costantemente a contatto con pazienti di ogni eta''. 'Certamente - conclude -, non rileva il fatto che non sia uno specialista in ginecologia perche', nel caso di specie, ha posto in essere la condotta contestata proprio suggerendo alla persona offesa di sottoporsi ad una visita ginecologica che nulla aveva a che fare con il malessere fisico da lei lamentato'.
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