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Legame parodontite e Alzheimer, al via lo studio clinico in Usa

Farmaci Redazione DottNet | 20/10/2019 19:02

Si sperimenta un farmaco, sotto accusa una infezione della bocca del batterio 'Porphyromonas gingivalis'

E' iniziato anche in Europa l'arruolamento dei pazienti di Alzheimer per uno studio clinico americano che potrebbe aprire nuove prospettive di cura per una patologia che colpisce circa 40 milioni di persone nel mondo, di cui un milione solo in Italia. Il 'trial' clinico, che mira a coinvolgere 570 pazienti tra Usa e vecchio continente, segue la messa a punto di un farmaco sperimentato finora solo sui topi, dopo la scoperta di un legame tra l'Alzheimer e il batterio 'Porphyromonas gingivalis', una delle cause principali della parodontite o piorrea, una grave forma di gengivite, altamente resistente agli antibiotici.

"C'e' l'evidenza che il Porphyromonas gingivalis e i suoi enzimi, chiamati gingipains, in grado di degradare le proteine nel cervello, possono giocare un ruolo centrale nella patogenesi dell'Alzheimer, fornendo un nuovo quadro concettuale per il trattamento della malattia", si legge nello studio, pubblicato nei mesi scorsi sulla rivista americana online Science Advances.  A condurlo e finanziarlo e' stata la Cortexyme, compagnia biotech della California, in collaborazione con Jagiellonian University in Polonia, University of California, University of Louisville School of Dentistry e Harvard University School of Dental Medicine in Usa, University of Melbourne in Australia e University of Auckland in Nuova Zelanda. Le cause dell'Alzheimer restano sconosciute ma tra gli esperti si rafforza l'ipotesi che possa essere scatenato da batteri, virus o addirittura funghi.

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I ricercatori non hanno dimostrato un nesso di causalita' ma hanno scoperto che i gingipains sono presenti in concentrazioni piu' alte nei cervelli di un campione di malati di Alzheimer viventi e deceduti. Frammenti del genoma del P. gingivalis sono stati trovati anche nel liquido cerebrospinale e nella saliva di alcuni di questi pazienti. Si è quindi passati ad un esperimento su topi infettati con la P. gingivalis, osservando dopo alcune settimane segni di infezioni e deterioramenti al cervello simili a quelli individuati nei pazienti ai primi stadi di 'demenza'. I test di laboratorio hanno dimostrato che i gingipains interagiscono negativamente con proteine chiave, come la beta-amyloide e la proteina Tau, creando i tipici "grovigli" di queste proteine che si accumulano nei neuroni dei pazienti con Alzheimer.

I ricercatori hanno messo a punto un nuovo farmaco inibitore, prodotto dalla stessa Cortexyme e denominato Cor388, che nei topi ha bloccato l'azione dei gingipains, curando la P.  gingivalis e le infezioni del cervello. Un farmaco orale che si e' rivelato piu' efficace di un'alta dose di antibiotico ad ampio spettro. Ora lo si sta sperimentando per la prima volta su un campione di malati di Alzheimer per vedere se puo' rallentare o fermare la progressione della patologia (ulteriori informazioni sullo studio clinico al link www.GAINtrial.com). "Troppo spesso, nella mia lunga carriera di sviluppatore di farmaci, ho assistito alla creazione di speranze nei malati e nelle loro famiglie, per vederle poi ridotte in frantumi dopo studi clinici falliti o inconcludenti", commenta Paolo Baroldi, un farmacologo clinico con 35 anni di esperienza che vive in Usa e che non e' coinvolto nella ricerca. "Tuttavia, questo nuovo approccio all'Alzheimer merita, con tutte le cautele del caso, una grande attenzione, per la serieta' scientifica dell'ipotesi che lo supporta. I risultati dello studio sono attesi nel 2021: sono molto curioso di vederli".

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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