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Privacy a rischio con i medici sui social

Professione Redazione DottNet | 23/10/2019 18:46

Un chirurgo pur non diffondendo nome e cognome ha reso la sua paziente facilmente identificabile

E’ successo lo scorso 27 settembre in un piccolo centro della Campania: il primario di chirurgia generale dell’ospedale locale ha diffuso i  dati su un noto social riguardanti la salute di una paziente e il suo credo religioso, descrivendo  sul suo profilo tutta l’amarezza e la rabbia di un caso di decesso dovuto alla mancata trasfusione di sangue perché testimone di Geova:  “L’avrei salvata al 100% ma ha rifiutato ed è morta”.  Inutile dire che pur non avendo citato nome e cognome della paziente, non è difficile in un paesino con pochi abitanti identificare  la persona deceduta collegandola ai motivi e al suo credo religioso. In questo caso il chirurgo non ha osservato le norme  tutelate sia dal Codice della Privacy che dal Codice di Deontologia Medica.

Privacy e dato personale
Qualora vi fosse necessità di chiarire perché si può commettere una violazione della privacy di un individuo anche senza menzionarne espressamente il nome, e per cui in molti casi neanche basta “pseudonimizzarlo” scrivendone solo le iniziali puntate, occorre soffermarsi attentamente sulla nozione di “dato personale” - si legge sul sito Agenda Digitale - riportata all’art 4 del Regolamento UE 2016/679, che definisce come tale “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere individuata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”.

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Tornando al caso del medico e della testimone di Geova, l’insieme di minuziosi dettagli forniti dal camice bianco e dai necrologi costituiscono comunque dati personali perché consentono di identificare indirettamente la donna defunta. Ragion per cui allo stesso modo anche un apparente anonimo numero di matricola sul braccialetto identificativo che viene messo sul polso del paziente al momento del ricovero in ospedale è anch’esso un dato personale, cosi come le credenziali fornite dal laboratorio di analisi per scaricare il proprio referto online sono pure dati personali.
Personale sanitario, necessario un uso ponderato dei social.

Tra commenti “spensierati”, video e selfie che vengono postati in rete da parte di medici, riporta Agenda Digitale, il fenomeno dell’uso scorretto dei social network trai gli operatori del settore sanitario sta purtroppo diventando un tema di discussione e fonte di preoccupazione di portata nazionale, e già nel 2017 il Ministero della Salute spinse la Federazione Nazionale dell’Ordine dei medici a scrivere una severa lettera di monito a tutti gli ordini provinciali, invitando tutti i professionisti iscritti all’albo a ponderare l’uso che fanno degli strumenti social in relazione alla delicata professione che svolgono, ribadendo l’obbligo di rispettare l’art.10 del Codice deontologico, che impone al medico di “mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto professionale”.

Peraltro, l’art.1 dello stesso Codice di Deontologia “regola anche i comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione”, e l’art. 11 impone al medico il “rispetto della riservatezza, in particolare dei dati inerenti alla salute e alla vita sessuale. Il medico assicura la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.”

Un fenomeno, a onor del vero, non certo solo italiano: basti pensare, ad esempio, che nell’arco di 5 anni, oltre 1.200 dipendenti del Servizio Sanitario Inglese (NHS) hanno ricevuto provvedimenti disciplinari a causa dell’uso improprio dei social media, e almeno 65 di questi sono stati licenziati per aver condiviso online informazioni riservate sui pazienti.

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