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Cassazione, il medico che ritarda la guarigione è responsabile

Medlex Redazione DottNet | 16/02/2020 18:22

I sanitari non avevano diagnosticato a un paziente una frattura del corpo vertebrale L1, con la conseguenza di non aver consentito l'attuazione degli accertamenti che avrebbero assicurato una rapida guarigione

E' responsabile il medico che, pur non producendo un aggravamento della lesione, interviene sul tempo necessario alla guarigione generando un allungamento del periodo necessario per la stabilizzazione dello stato di salute. La sentenza 5315/2020 della Cassazione, quarta sezione penale, si è pronunciata sulla vicenda riguardante tre sanitari (due ortopedici e un radiologo), assolti dal reato di cui all'art. 590 c.p. (lesioni personali colpose).

Agli imputati, riporta il sito StudioCataldi, veniva contestato di non aver diagnosticato a un paziente, condotto in ospedale a seguito di una caduta in moto, una lesione fratturativa del corpo vertebrale L1, con la conseguenza di non aver consentito l'attuazione degli accertamenti che avrebbero assicurato la guarigione del paziente e così determinando l'aggravamento delle sue condizioni e un ritardo nell'individuazione della terapia adeguata.

Omessi gli accertamenti diagnostici

La sentenza di secondo grado, pur riconoscendo come antidoverosa la condotta tenuta dai tre medici per non aver predisposto i necessari approfondimenti diagnostici, escludeva la rilevanza dell'errore diagnostico sul processo patologico, in quanto i medici non avrebbero cagionato alcuna "lesione" come definita dalla giurisprudenza o malattia ai sensi dell'art. 582 del codice penale, come richiamato dall'art. 590.  In sostanza, il ritardo non aveva provocato una compromissione della guarigione, ma solo la sua posticipazione in quanto i lievi esiti algodisfunzionali ascrivibili al tipo di frattura lombare erano primitivamente ascrivibili all'evento traumatico e indipendenti dall'inadeguato trattamento.  

Una conclusione contentata in Cassazione dalla parte civile secondo cui la Corte d'Appello avrebbe errato ad affermare la sussistenza della malattia, rilevante ai fini delle lesioni colpose, solo a fronte di alterazioni anatomo-funzionali tali da incidere sulla totale abilità psico-fisica del soggetto, cui residuino postumi permanenti per la compromissione anatomica. Pertanto, il ricorrente ritiene che il ritardo nella guarigione clinica, pari a trenta giorni (durata dell'invalidità temporanea), vada considerato malattia addebitabile alla condotta colposa dei sanitari.

Il tempo di guarigione

Una ricostruzione, si legge su Studiocataldi, che convince gli Ermellini i quali sottolineano la particolarità del caso in esame in cui, a fronte di una indubbia condotta colposa, per imperizia e negligenza, tenuta dai tre sanitari, ciascuno in relazione alla propria sfera di intervento radiologico o clinico, non si è prodotto un aggravamento della perturbazione funzionale causata dalle lesioni derivate dalla caduta. 

Ciò che occorre, quindi, stabilire è se possa considerarsi "malattia" non l'aggravamento della lesione, ma il prolungamento del tempo necessario per la sua riduzione o per la sua definitiva stabilizzazione, posto che detto ritardo non incide sulla perturbazione funzionale di tipo dinamico. E secondo la Cassazione la risposta è positiva stante il concetto giuridico di lesioni e quello di malattia.

La nozione di malattia

La malattia, spiega la Corte, nella sua nozione penalistica, non è il "post factum" della lesione, ma ne costituisce il nucleo intrinseco. L'utilizzo del verbo "deriva", nel testo della norma cardine di cui all'art. 582 c.p., si legge nel provvedimento, non indica un rapporto di conseguenzialità, ma cristallizza il concetto penalistico di malattia come connotato della nozione penalistica di lesione personale.

Dunque, è sulla durata della malattia (più o meno di quaranta giorni) o sulla specificità dell'alterazione funzionale che essa comporta (indebolimento o perdita di un senso o di un organo, perdita di un arto, grave compromissione o perdita della favella, della capacità di procreare, ecc.) che l'ordinamento misura la sanzione penale, con l'introduzione delle aggravanti di cui all'art. 583, commi 1 e 2, del codice penale.

L'ordinamento, misurando la durata malattia come tempo necessario alla guarigione o al consolidamento definitivo degli esiti della lesione, assegna al tempo un "peso" che incide sulla "quantità della sanzione", palesando una scelta che pone all'interno della reazione penale anche l'intervallo necessario per il raggiungimento di un nuovo stato di benessere della persona offesa, ancorché di benessere degradato, purché stabile. Ciò vale, ovviamente, sia per le lesioni dolose che per le lesioni colpose. Tanto premesso, conclude la Cassazione, ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce "ex se" un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute. 

Nel caso in esame, è pacifico che l'omessa diagnosi del crollo della veterbra L1 e della frattura pluriframmentata, con conseguente omessa tempestiva prescrizione del trattamento di riduzione (busto ortopedico e fisioterapia), ha comportato l'adozione di misure di trattamento con un ritardo di trenta giorni, intervallo intercorso fra la dimissione dall'Ospedale dove operavano i tre imputati e la data in cui i sanitari dell'Ospedale in cui il paziente si era successivamente recato avevano diagnosticarono la frattura in L1, impartendo la cura necessario.

Ne consegue la necessità di rivalutare l'incidenza della condotta colposa degli imputati sul differimento della guarigione della persona offesa. La sentenza viene dunque annullata agli effetti civili e rinviata per un nuovo giudizio al giudice ivi competente per valore.

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