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La terapia col plasma ha ridotto i decessi dal 15 al 6%

Infettivologia Redazione DottNet | 11/05/2020 21:09

E' polemica con De Donno sulla scelta di Pisa come capofila nazionale. Il protocollo di ricerca italiano ha suscitato anche l'interesse degli Stati Uniti, che lo hanno adattato alla realtà americana

Mortalità più che dimezzata, scesa da una media del 15% al 6%: sono incoraggianti i primi risultati ottenuti dalla sperimentazione condotta in Lombardia sotto la guida del Policlinico San Matteo di Pavia con l'Asst di Mantova, utilizzando il plasma ricco di anticorpi delle persone guarite dalla Covid-19. Tanto che adesso si prevede di estendere la sperimentazione e di incoraggiare le donazioni da chi ha superato la malattia.  Sebbene questo risultato sia preliminare e relativo a 46 pazienti, è una prova di principio che ha già destato un grande interesse in tutta Italia, dal Piemonte al Veneto fino alle Marche e alla Toscana, che con lo studio 'Tsunami' è diventata capofila della sperimentazione nazionale; il protocollo di ricerca italiano ha suscitato anche l'interesse degli Stati Uniti, che lo hanno adattato alla realtà americana.

Una scelta, quella di Pisa, che però accende la polemica: "La politica, anche quella piccola, ha la meglio sulla scienza medica, una modalità tutta italiana", sbotta il professor Giuseppe De Donno, direttore della pneumologia e terapia intensiva respiratoria dell'ospedale Carlo Poma di Mantova che insieme ai colleghi del San Matteo di Pavia ha sperimentato un protocollo al plasma iperimmune contro il coronavirus, arruolando 47 pazienti. De Donno ha sostenuto che "non vi sono ragioni oggettive per individuare Pisa come capifila di uno studio sul plasma. In realtà le uniche due città che avrebbero dovuto essere interpellate per fare da capofila uniche, neanche non come co-investigator, erano Mantova e Pavia". Per De Donno, "Pisa non sa neanche cos'è il coronavirus, hanno arruolato il primo paziente, anche Crema e Cremona l'hanno superata. Se noi vogliamo affidare un protocollo di ricerca a un centro che ha esperienza non penso che ci siano dubbi su quale centro di ricerca doveva essere scelto. Io non ho saputo nulla di questo protocollo di ricerca. Non ci hanno neanche avvisato".

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"Noi è dai primi di marzo che lavoriamo al protocollo sul plasma del paziente convalescente e io stesso l'ho chiamato 'Tsunami', quindi non hanno neanche avuto fantasia per dargli un altro nome. Quindi mi viene da sorridere quando leggo queste cose", ha commentato De Donno. "Io - ha proseguito - il protocollo di Pisa non l'ho neanche letto perché non mi hanno consultato. Ma mi fa sorridere che loro propongano un protocollo di ricerca sul plasma convalescente quando noi ormai abbiamo chiuso la fase uno".   E ha continuato: "Io personalmente a questo studio non aderisco ma non vuol dire che non continuerò a usare la plasmaterapia. Io sono uno dei padri del plasma iperimmune in questo tipo di sperimentazione. Siamo stati la prima città, insieme a Pavia nel mondo occidentale ad aver registrato questo marchio. Quello che ho sempre detto è che la percezione che ho del mio studio, condotto insieme ai colleghi Pavia, sia buona e che la nostra casistica mantovana ha avuto morti pari a 0. Abbiamo messo in campo dei proiettili che vanno ad agire contro il coronavirus, ed è l'unico trattamento in questo momento che va ad agire contro il virus. A me che interessa salvare più vite possibile ma dare anche merito agli scienziati che se ne sono occupati, e non mortificarli". 

stata aperta una strada", ha detto intanto il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, nella conferenza stampa in cui sono stati presentati i risultati. Questi ultimi sono pubblicati al momento sul sito ArXiv, che ospita gli articoli in attesa di revisione scientifica, e giovedì i ricercatori prevedono di sottoporli a una rivista scientifica internazionale per la pubblicazione. Fontana ha detto inoltre che il ministro della Salute, Roberto Speranza, gli ha confermato "che anche il governo ha particolare interesse per proseguire questa iniziativa". L'idea di andare a cercare gli anticorpi nel sangue delle persone guarite per dare delle difese immunitarie a chi ha ancora la malattia è nata a Pavia all'inizio di marzo, ha detto il direttore generale del policlinico San Matteo di Pavia, Carlo Nicora. Una volta separato il plasma dal sangue si misura il livello degli anticorpi presenti (titolo anticorpale) e il requisito minimo per una quantità sufficiente è indicato in 1:160, vale a dire che diluendo il siero 160 volte, questo risulta ancora in grado di impedire al virus di aggredire le cellule: è il cosiddetto plasma iperimmune. Gli anticorpi sono definiti 'neutralizzanti' perché neutralizzano l'arma che il nuovo coronavirus usa per entrare nelle cellule, ossia la proteina Spike, dall'inglese 'punta'. Questa è una sorta di chiave molecolare con cui il virus fa scattare il recettore Ace2, come una serratura sulla superficie delle cellule umane.

Per ogni donatore, ha detto il direttore del servizio di Immunologia del San Matteo, Cesare Perotti, si ottengono due dosi di plasma da 300 millilitri l'una: "È una terapia solidale", ha osservato. I 46 pazienti, arruolati fra Pavia, Mantova e Novara, hanno più di 18 anni e non sono in età avanzata, sette erano intubati. I dati indicano che è stato raggiunto il principale obiettivo di ridurre la mortalità, passata da un decesso ogni sei pazienti a uno ogni 16. Sono migliorati anche tutti i parametri respiratori, misurati in termini di quantità di ossigeno nel sangue, così come la situazione osservata per mezzo delle radiografie e il livello dell'infiammazione.   Adesso, ha detto l'assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, è estendere la sperimentazione, promuovere le donazioni e avviate l'organizzazione di una banca del plasma iperimmune.

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