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Diabete e scompenso, ertugliflozin riduce ricoveri del 30%

Farmaci Redazione DottNet | 18/06/2020 15:49

Un paziente su 3 ricoverato per scompenso cardiaco ha il diabete

Malattie del cuore e diabete costituiscono un'alleanza frequente e pericolosa, tanto che il 12% dei diabetici ha scompenso cardiaco. Un nuovo farmaco mostra però benefici nel ridurre del 30% i ricoveri in questo gruppo di pazienti. A dimostrarlo sono i risultati di un ampio studio presentato all'80/mo Congresso dell'American Diabetes Association e illustrato oggi nel corso di una web conference.   Un paziente su 3 ricoverato per scompenso cardiaco ha il diabete di tipo 2. "Attraverso diversi meccanismi, il diabete danneggia il cuore aumentando il rischio di problemi sia a livello funzionale che morfologico, inducendo la cosiddetta cardiomiopatia diabetica, che riduce l'efficienza del cuore nel pompare il sangue nel resto del corpo", spiega Andrea Giaccari, professore associato di Endocrinologia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Lo studio Vertis CV ha valutato efficacia e sicurezza di ertugliflozin, la nuova opzione terapeutica di Msd nella classe degli SGLT2 inibitori, su oltre 8.200 diabetici con malattia cardiovascolare.

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"I risultati - afferma Pasquale Perrone Filardi (nella foto), ordinario di Cardiologia presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II - hanno dimostrato che il nuovo farmaco, oltre a curare il diabete, ha anche un'azione protettiva a livello cardiaco. Ha infatti ridotto del 30% i ricoveri per scompenso, oltre a ridurre il declino della funzionalità renale", altro problema spesso connesso al diabete non curato. Fino a prima del Covid-19, commenta Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato di Msd Italia, "il termine 'pandemia' era noto solo agli addetti ai lavori e c'era poca contezza del fatto che ci fosse già una pandemia silenziosa, quella del diabete". Tenerlo sotto controllo è importantissimo soprattutto ora, "visto che il 25% dei ricoverati per Covid-19 ha anche il diabete, condizione che ne aumenta il rischio di forme gravi".

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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