
La normativa esclude in generale il diritto del dirigente incaricato della direzione di struttura a essere compensato per il lavoro straordinario
Niente straordinario ai dirigenti medici. Lo ha stabilito la Cassazione che ha respinto dalla sezione ordinaria Lavoro il ricorso sulla richiesta di riconoscimento delle ore di straordinario di sei medici che, a loro dire, erano state lavorate da gennaio 2004 a giugno 2008. Oppure, in subordine, di essere risarciti per il danno subito dalla maggiorazione delle ore lavorate. Ma gli ermellini hanno proseguito sulla strada tracciata prima dal Tribunale di Ferrara e poi dalla Corte di Appello di Bologna negando tutte le richieste.
In particolare i professionisti, nell’iniziare la battaglia legale nei confronti dell’Azienda ospedaliera Sant’Anna di Bologna, lamentavano come "il lavoro straordinario fosse stato strumentalizzato per coprire carenze organizzative della struttura ospedaliera, al punto da divenire il ricorso ad esso – come scritto negli atti – una ordinaria modalità di organizzazione del lavoro".
Ma la Corte Suprema ha respinto ogni richiesta, condannando inoltre i sei medici a pagare le spese legali sostenute dall’azienda ospedaliera per difendersi, che ammontano a seimila euro. In sostanza i giudici capitolini hanno rilevato che già con precedenti pronunciamenti la stessa Corte a Sezioni Unite, aveva evidenziato come la normativa in materia "per l’area dirigenza medica e veterinaria – spiegano gli ermellini – nel prevedere la correspensione di una retribuzione di risultato compensativa anche dell’eventuale superamento dell’orario lavorativo per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato, esclude in generale il diritto del dirigente incaricato della direzione di struttura a essere compensato per il lavoro straordinario".
Infine, la Corte Suprema, ha anche sottolineato come "la mera eccedentarietà oraria non comporti di per sé un trattamento economico aggiuntivo, trovando la propria collocazione nell’ambito del raggiungimento degli obiettivi di budget e nella determinazione delle quote della retribuzione di risultato". E che comunque, nel caso particolare, non era stata indicata una specifica violazione delle regole sui massimi orari "l’unico dato concreto fornito – hanno concluso i gudici – è il numero complessivo di ore lavorate negli anni presi in esame". Troppo poco per i giudici della Cassazione.
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