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Alzheimer: il 35% delle demenze si previene

Neurologia Redazione DottNet | 17/09/2020 14:30

L’esperienza dei malati di Alzheimer ai tempi del Covid19

Mancano pochi giorni alla giornata mondiale Alzheimer, che si celebra il 21 settembre in tutto il mondo per creare una coscienza pubblica sui problemi provocati dalla malattia. All’IRCCS Centro San Giovanni Di Dio Fatebenefratelli la ricerca accompagna la cura delle demenze. «Non dobbiamo mai dimenticarci che noi siamo i  difensori dei malati» spiega Orazio Zanetti, primario di geriatria e responsabile. «La tradizione dell'Ordine ospedaliero e dell'Istituto è quella di offrire l'eccellenza della ricerca scientifica a tutti i malati e abbiamo lavorato perché questa tradizione non segnasse il passo neppure in tempi di Covid 19» conferma Maria Grazia Ardissone, direttore generale dell'Irccs. «Purtroppo, mentre negli scorsi anni pensavamo di essere sul punto di trovare una cura, ora sappiamo che ci vorrà ancora tempo e che dobbiamo lavorare molto sulla prevenzione» osserva Zanetti.

Il Covid 19 è stato superato egregiamente da questo centro - un decesso, in un reparto che ha un'età media degli ospiti (40 posti letto) di 82 anni, ma Zanetti ammette che un segno è rimasto. « I sentimenti che ho provato resteranno indelebili nella mia memoria: la paura di perdere i pazienti che si erano affidati a noi, la preoccupazione per i loro parenti costretti a stare lontani e per il personale medico.

Nella gestione clinica è cambiato tutto: possiamo offrire solo il 70% dei posti letto per rispettare il distanziamento sociale, ma non abbiamo mai smesso di comunicare con i nostri pazienti. Entravamo nelle stanze con scafandro e protezioni che a malapena lasciavano intravedere gli occhi, il contatto diretto è stato sostituito da un’anonima e fredda superficie di lattice (doppi guanti!) e quella mascherina protettiva che evoca becchi d’anatra o di altri animali terrestri. Ma sempre con la passione di essere vicino alle sofferenze di chi ci si affida. Tutti solidali e vicini nei confronti del nemico invisibile per proteggere i nostri malati. L’ondata del coronavirus ha certamente cambiato le nostre vite professionali e famigliari, sovvertendo le nostre relazioni con i malati, oggi perlopiù affidate alla “telemedicina”. Per nostra fortuna, tuttavia, la maggior parte dei pazienti con demenza non si è accorta dell’emergenze in atto, l’hanno vissuta come attori o spettatori inconsapevoli che guardano i medici come personaggi che animano le loro favole».

La vera novità si chiama prevenzione primaria. Secondo uno studio cui ha partecipato l'Irccs Fatebenefratelli, il 35% delle demenze può essere ridotto da fattori modificabili come la correzione dell’obesità, dell’ipertensione, della depressione della sordità, la riduzione del fumo, l’aumento dell’attività fisica, il miglioramento del rapporto sociale e la stimolazione delle funzioni cognitive. «Sul versante diagnostico, tramite PET cerebrale, viene controllato il livello e la presenza di betamiloide nel cervello. In media, sappiamo che in un soggetto si possa accumulare 20-25 anni prima. Per cui, la migliore strada deve essere la prevenzione. Su una fascia di età tra i 50 e i 70 anni può essere effettuata la valutazione del paziente a livello neurologico considerando eventuali sintomi o evidenze di deficit cognitivi, la risonanza magnetica cerebrale e infine la PET. Oggi sono circa 40 milioni nel mondo le demenze, di cui il 60% Alzheimer. In Italia questa malattia colpisce 600mila persone. Ed aumenta» conclude Zanetti.

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