Anmar, ma il 51% delle pazienti non parla con il medico specialista
Sette donne su dieci colpite da una patologia reumatologica, stanno cercando di avere un figlio, ma il 51% non ha parlato di questa scelta con il proprio reumatologo. E' quanto emerso da un sondaggio condotto su oltre 300 donne di Anmar Onlus (Associazione Nazionale Malati Reumatici) in collaborazione con l'Osservatorio Capire, che conferma anche come i pazienti hanno subito fortemente l'impatto della pandemia nelle cure: quasi il 70% nella prima fase della pandemia ha sospeso le visite. Solo in Italia le malattie reumatologiche interessano oltre 3 milioni e mezzo di donne. "Molte gravi patologie come l'artrite reumatoide - prosegue Mauro Galeazzi, responsabile scientifico dell'Osservatorio CAPIRE e presidente emerito della Società Italiana di Reumatologia (Sir) - insorgono nel pieno del periodo di fertilità di una donna. Le terapie oggi a nostra disposizione sono efficaci e hanno ridato ottime prospettive di vita. Possono però avere effetti collaterali sull'apparato riproduttore e quindi bisogna comunicare allo specialista curante i propri desideri. Lo stesso vale per la scelta di metodi contraccettivi che devono essere per forza compatibili con i trattamenti utilizzati". "Ogni giorno - afferma Silvia Tonolo, presidente Anmar - riceviamo decine di richieste di informazioni su questo delicato aspetto. Oggi la maternità sia un'opportunità possibile e, infatti, ben il 57% delle intervistate ha già avuto una gravidanza. Al tempo stesso però è necessario migliorare la comunicazione con il medico specialista che deve essere informato su queste scelte". Un secondo sondaggio promosso da Anmar ha rilevato invece come le prime fasi dell'emergenza Covid-19 il 69% dei malati ha dovuto sospendere le visite con lo specialista. "La telemedicina - sottolinea Galeazzi - rappresenta una possibile soluzione ma non deve contemplare solo le tele-visite, bensì più in generale un'informatizzazione dei servizi sanitari. Prima dell'inizio del boom di casi di Coronavirus solo il 16% dei pazienti riceveva per via elettronica impegnative o ricette previste dal piano terapeutico".
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