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La niclosamide è una potente arma contro il Covid

Farmaci Redazione DottNet | 08/04/2021 14:11

Questo farmaco si è dimostrato in grado di inibire la replicazione virale, sopprimere l’attività della TMEM16F e prevenire così la formazione dei sincizi (la fusione di due o più cellule) indotti dalla spike nei test di laboratorio

Un vecchio farmaco usato per trattare le infezioni intestinali potrebbe diventare un'arma contro il coronavirus. La niclosamide, un antiparassitario, sarebbe, dunque la chiave di volta per limitare i danni del Covid. Lo rivela un team di ricercatori del King’s College di Londra, insieme all’Università degli studi di Trieste e del Centro di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb) di Trieste, che ha scoperto il meccanismo che porta alla fusione anomala delle cellule polmonari infettate dal coronavirus e come la niclosamide abbia un’azione preventiva, riuscendo a bloccare questo processo guidato dalla proteina spike. Lo studio è stato appena pubblicato su Nature.

Come accennato, la niclosamide è un antiparassitario che originariamente, negli anni ’50, veniva utilizzato come molluschicida contro le lumache. Successivamente, a partire dal 1982, è stato approvato anche come trattamento per le infezioni intestinali da tenia negli esseri umani ed è già conosciuto per essere attivo contro alcuni virus. Per capire in che modo la niclosamide potesse proteggere le cellule dal coronavirus, i ricercatori hanno analizzato i campioni dei polmoni di 41 pazienti deceduti per la Covid-19. Dalle analisi, hanno scoperto che, molto spesso, presentavano cellule polmonari fuse, che potevano contenere ben oltre 20 nuclei diversi. Ricordiamo, infatti, che lo stesso team di ricerca aveva scoperto in uno studio pubblicato a novembre scorso su Lancet eBioMedicine che i polmoni dei pazienti deceduti per la Covid-19, oltre a mostrare danni e coaguli che bloccano la circolazione del sangue, presentavano un vasto numero di cellule anormali, molto grandi e con molti nuclei, infettate dal virus anche dopo 30-40 giorni dal ricovero in ospedale.

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Questo meccanismo di fusione, hanno scoperto ora i ricercatori, è mediato dalla proteina spike del coronavirus, che a sua volta influenza l’attivazione di una proteina chiamata TMEM16F, fondamentale per la fusione cellulare. Partendo da queste informazioni, il team ha proseguito le indagini, esaminando oltre 3mila farmaci approvati per l’uso negli esseri umani che fossero in grado di bloccare questo meccanismo di fusione guidato dalla spike. Selezionando e concentrandosi su quelle più promettenti, i ricercatori sono giunti alla conclusione che la molecola più efficace nel proteggere dal danno polmonare era appunto la niclosamide. In sintesi, questo farmaco si è dimostrato in grado di inibire la replicazione virale, sopprimere l’attività della TMEM16F e prevenire così la formazione dei sincizi (la fusione di due o più cellule) indotti dalla spike nei test di laboratorio.

“Siamo molto soddisfatti dai nostri risultati per almeno due motivi”, commenta Mauro Giacca, professore dell’Università di Trieste, docente al King’s College di Londra, e responsabile del Laboratorio di Medicina Molecolare dell’Icgeb. “Primo, perché abbiamo scoperto un meccanismo completamente nuovo, attivato dalla proteina spike e importante per il virus. Le nostre ricerche mostrano come spike attivi una famiglia di proteine della cellula, chiamate TMEM16, che sono indispensabili per la fusione cellulare. Secondo, perché questo meccanismo è anche alla base dell’attivazione delle piastrine, e potrebbe quindi anche spiegare perché il 70% dei pazienti con Covid-19 grave sviluppa una trombosi. E ora sappiamo che c’è almeno un farmaco, la niclosamide, in grado di bloccare questo meccanismo”.

Basandosi su questi risultati, in India, dove la Covid-19 è ancora molto diffusa, è appena partita una sperimentazione clinica con la niclosamide su 120 pazienti ricoverati in ospedale. “Penso che questa ricerca sia importante anche perché sposta l’attenzione dal tentativo di bloccare la moltiplicazione del virus, come finora hanno cercato di fare con alcuni farmaci, con scarso successo, a quello di inibire il danno causato all’organismo dalle cellule infettate”, commenta Giacca. “Sono sempre più convinto che Covid-19 sia una malattia causata non dalla semplice distruzione delle cellule infettate dal virus, ma dalla persistenza di queste cellule nell’organismo per periodi lunghi di tempo. Il meccanismo che abbiamo scoperto potrebbe quindi anche essere coinvolto nello sviluppo del cosiddetto Covid lungo, ovvero spiegare la difficoltà che molti pazienti hanno a recuperare dopo la malattia”.

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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