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Farmaci contro l'epatite C aumentano l'efficacia di remdesivir

Farmaci Redazione DottNet | 07/05/2021 15:55

La combinazione dei cinque prodotti è stata testata su colture cellulari e ha dimostrato di riuscire a inibire la replicazione del coronavirus con successo

I nuovi farmaci contro l'epatite C Simeprevir, vaniprevir, paritaprevir, e grazoprevir potrebbero fornire un valido supperto alle cure contro il Covid-19. I quattro innovativi antivirali sembrerebbero infatti aumentare di dieci volte l’efficacia di Remdesivir, l’unico farmaco ufficiale nella lista delle per lo più empiriche terapie anti-Covid. La combinazione dei cinque prodotti è stata testata su colture cellulari e ha dimostrato di riuscire a inibire la replicazione del coronavirus con successo. I risultati dell’esperimento riportati su Cell Reports, in versione ancora non definitiva, lasciano intravedere un possibile rapido avanzamento nella cura dei pazienti affetti da Covid-19. La nuova terapia combinata composta da farmaci già in uso e già valutati sotto il profilo della sicurezza, con effetti collaterali ben noti, potrebbe essere testata sugli esseri umani saltando le prime fasi dell’iter sperimentale. L’eventuale approvazione avverrebbe così più velocemente rispetto a qualunque nuovo farmaco. Per arrivare a questo punto però bisognerebbe risolvere un problema non del tutto marginale. I quattro farmaci antivirali che “mettono il turbo” al remdesivir sono orali, mentre il farmaco approvato per Covid-19 è somministrato per via endovenosa, tanto da essere destinato solo ai pazienti ricoverati in ospedale.

L’obiettivo dei ricercatori è di poter mettere a punto una terapia da assumere a casa indirizzate alle persone con un’infezione non così grave da richiedere il ricovero. Ma per riuscirci dovrebbero individuare un farmaco orale con le stesse caratteristiche di remdesivir. Il candidato possibile già esiste ed è molnupiravir, un antivirale specifico contro Sars-Cov-2 in fase II di sperimentazione. «I farmaci per l’epatite C che potenziano l'attività antivirale di remdesivir sono farmaci orali. Idealmente, avremmo bisogno di un farmaco orale che inibisca Sars-CoV-2 allo stesso modo del remdesivir per sviluppare un trattamento combinato efficace», commenta Robert M. Krug dell’Università del Texas a Austin, a capo dello studio.

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Tutto è nato osservando una somiglianza sospetta e degna di essere approfondita. Il remdesivir colpisce una parte del coronavirus chiamata Rna-polimerasi, il meccanismo grazie al quale il virus si replica. I farmaci antivirali contro l’epatite C prendono di mira altri elementi del virus HCV fondamentali per la replicazione virale, chiamati proteasi. I ricercatori hanno osservato una impressionante somiglianza tra la struttura delle proteasi dell’Hcv e una delle proteasi di Sars-Cov-2 chiamata proteasi principale senza la quale il virus non può replicarsi.

Gli scienziati si sono chiesti se quella somiglianza potesse essere sfruttata per realizzare nuove armi contro il coronavirus: farmaci che inibiscono le proteasi del virus dell’apatite C possono inibire anche quella di Sars-Cov-2? Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale i ricercatori hanno simulato il meccanismo d’azione di alcune molecole nei confronti delle proteine virali per individuare quelle in grado di legarsi alla proteasi di Sars-Cov-2. I ricercatori della Icahn School of Medicine del Monte Sinai hanno testato sette di questi farmaci nelle scimmie e nelle cellule umane in coltura. Tutti e sette i farmaci per l’epatite C avevano inibito la replicazione del virus, ma i ricercatori ne hanno individuati quattro (simeprevir, vaniprevir, paritaprevir e grazoprevir) capaci di inibire un tipo completamente diverso di proteasi SARS-CoV-2, chiamata proteasi simile alla papaina. E questa differenza si è rivelata preziosa. Quando il team ha testato ciascuno dei sette farmaci in combinazione con remdesivir, solo i quattro che hanno preso di mira la proteasi “diversa” hanno aumentato l'efficacia di remdesivir, fino a dieci volte.

fonte: cell report

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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