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Niente green pass per i medici: i sei mesi di durata dal vaccino sono pochi

Professione Redazione DottNet | 11/05/2021 20:58

Appello della Fnomceo: il disagio della categoria è enorme. Anelli: aprire la questione medica con un confronto col ministro Speranza

I medici dovranno firmare i green pass ma non ne potranno fruire. E' l'ultimo paradosso che colpisce una categoria che ha dato molto, moltissimo in questo anno di pandemia. Già, perché  il “green pass”: con la sua durata di sei mesi dalla vaccinazione, escluderebbe di fatto i medici, vaccinati a gennaio, dalla possibilità di spostarsi, di accedere a servizi, di fare una vacanza. E forse persino, in assenza del richiamo, dalla possibilità di stare in corsia. Creando, in ogni caso, problemi burocratici e organizzativi, in un contesto di scarsità di vaccini. Problemi che si potrebbero evitare: i primi studi – tra cui uno su quella naturale, condotto dal San Raffaele in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità – suggeriscono una durata maggiore dell’immunità, di almeno otto mesi.

Ma il disagio dei medici, trasversale a tutte le componenti della Professione, dagli ospedalieri ai medici di famiglia, dagli operatori del 118 agli specialisti ambulatoriali, dagli specializzandi ai pensionati, dai medici delle RSA a quelli dell’ospedalità privata, è ormai intollerabile. Tanto che il loro presidente, Filippo Anelli, da poco rieletto alla guida della FNOMCeO, la Federazione degli Ordini, chiede al Governo di “aprire la questione medica”. E chiede di avviare un confronto tra i rappresentanti della Professione e il Ministro della Salute, Roberto Speranza.

I medici sono stremati – spiega Anelli -. Si sono spesi senza risparmiarsi per far fronte alla pandemia, non solo curando i pazienti, ma cercando di puntellare, con la loro disponibilità e abnegazione, tutta una serie di carenze strutturali e organizzative, che si erano ormai fatte sistema e che il Covid ha accentuato. Si sono riorganizzati negli ospedali, facendo il possibile per separare i percorsi sporchi e puliti in edifici troppo obsoleti per prevederlo. Hanno affrontato le carenze di organico, sottoponendosi a turni disumani, anche di ventiquattro ore di seguito; dividendosi tra i reparti Covid e le altre patologie, gli interventi chirurgici; senza sosta, rinunciando ai riposi e alle ferie. Gli specializzandi sono stati sbalzati in prima linea, maturando in un anno esperienze che non avrebbero fatto in un decennio. I medici del 118, in alcune Regioni, hanno colmato le carenze organizzative, sobbarcandosi anche compiti diversi dall’emergenza: andando nelle case dei pazienti e riducendo le ospedalizzazioni ingiustificate. Si sono fatti “tutori” dei pazienti più anziani e soli, chiudendo abitazioni, preparando borse per l’ospedale, assistendoli sino all’ultimo quando i parenti non potevano vederli. I medici di famiglia si sono ritrovati soli sul territorio, abbandonati a loro stessi, senza protocolli di sicurezza, senza strumenti, senza protezioni. E, dopo aver dato la piena disponibilità a contribuire alla campagna vaccinale, ricevono le dosi ‘con il contagocce’, quasi senza preavviso, e hanno poche ore di tempo per programmare la somministrazione ai loro assistiti, prima che il preparato “scada”. I medici pensionati che hanno risposto al primo bando per farsi vaccinatori si vedono ora bloccare la pensione, con compensi per la nuova attività di molto inferiori a quelli che avrebbero percepito stando a casa”.

Eppure, i medici, tutti i medici, hanno fatto la loro parte: non solo sul versante professionale, ma anche su quello sociale, quali garanti dei diritti e unici punti di riferimento per i pazienti in un mondo che si era chiuso nel lockdown – constata Anelli -. E lo hanno fatto senza compensazioni di sorta. Continuando con gli straordinari non pagati, con i turni prolungati oltre la timbratura, con i giorni di ferie persi. Con i compensi per attività nuove, come la vaccinazione anti-covid per i medici di famiglia, fermi a quelli di vent’anni fa per attività ormai ordinarie; eppure, rinfacciati dai media e dalla politica. Con modalità operative che trascurano le norme sulla sicurezza, sottoponendoli prima al rischio di contagio, ora alla recrudescenza delle aggressioni. Con una visione aziendalistica, da parte dei decisori, della sanità, che considera i medici non professionisti autonomi e indipendenti, ma prestatori d’opera, e tratta i pazienti come voci di spesa. E che impone un task shifting di fatto, non negoziabile, spostando a colpi di normativa le competenze, come il consenso informato, senza fornire, di pari passo, le necessarie conoscenze e abilità”.

È vero, questa situazione è figlia di una cultura aziendalistica, economicistica, fatta di tagli lineari, di mancata programmazione, della tendenza a considerare le spese per la salute come costi, e non come investimenti – ammette Anelli -. Che non formava gli specialisti per non stanziare le borse, che bloccava il turnover per risparmiare sul personale, che non ammodernava gli ospedali per non pagare le ristrutturazioni. Che guardava ai bilanci del presente, senza considerare un futuro fatto di pensionamenti e carenza di nuovi medici per sostituirli. E che ci ha lasciato in eredità un Servizio sanitario nazionale che, scricchiolante già in condizioni normali, ha rischiato il crollo sotto il peso della pandemia”.

Ora la politica dei disinvestimenti, grazie all’impegno degli ultimi Governi, e dei relativi Ministri per la Salute, in particolare dell’attuale Ministro, Roberto Speranza, sembra essere storia del passato: e il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, pur con le sue tante zone d’ombra, può essere davvero l’occasione per rilanciare e riformare il Servizio sanitario nazionale  – afferma -. Nonostante le risorse non siano forse abbastanza, nonostante non sappiamo quante di queste risorse saranno investite sul personale, per sbloccare il turnover, sulle assunzioni, sulla formazione. Per dare, in buona sostanza, risposte strutturali sia al disagio e alla carenza dei medici, sia alle necessità del Servizio Sanitario Nazionale”.

“Il rischio vero è invece che la visione della sanità rimanga  a silos, a compartimenti stagni, non in grado di rispondere a quelle esigenze di prossimità al cittadino e ai suoi bisogni di salute che pure si era prospettata – spiega -. Insufficiente sembra l’integrazione tra ospedale e territorio, insufficiente il potenziamento dell’uno e dell’altro comparto. Sarebbe inutile aumentare i posti letto, nelle rianimazioni, se non si assumesse personale opportunamente formato per gestirli. Sarebbe inutile costruire le Case di Comunità, se non si prevedesse di riempirle di professionisti: rischierebbero di rimanere Cattedrali nel deserto. Sarebbe inutile parlare di prossimità se poi si lasciassero, ancora una volta, da soli i medici della medicina generale, senza dotarli di strumentazione adeguata, senza affiancarli con infermieri, assistenti di studio, oss, per non parlare di ostetriche, psicologi, fisioterapisti, tecnici di laboratorio”.

“Il sacrificio fatto dai medici durante la pandemia – con i suoi costi in termini di benessere psicofisico, di salute, di vite umane – non deve essere vano, deve essere compensato – si accalora Anelli -. E non parlo, non solo, del giusto riconoscimento economico: va compensato con un diverso modo di intendere il sistema salute e, al suo interno e nel suo epicentro, il ruolo del medico e degli altri professionisti sanitari”.

“È il momento di aprire ed affrontare, anche a livello politico, la “questione medica” – auspica -. È il momento di una rivoluzione copernicana della sanità, che metta al centro non i pareggi di bilancio, ma gli obiettivi di salute, i professionisti e i cittadini. Che non consideri gli operatori come “prestatori d’opera”, cui chiedere servizi al ribasso, ma come il cuore e il cervello del sistema di cure, modificandone l’attuale governance. Che garantisca la loro autonomia, la loro indipendenza, la loro responsabilità come sigilli della qualità delle cure”.

“E allora, ci appelliamo ancora una volta al Ministro Roberto Speranza, che sin dall’inizio del suo mandato, e poi durante tutta la pandemia, ci ha sempre fatto sentire il suo impegno e la sua vicinanza: apra, con i medici, un confronto aperto, permanente, diretto – conclude Anelli -. Ci permetta di portare a compimento quel ruolo di Enti sussidiari, di bracci operativi attraverso cui lo Stato garantisce i diritti dei cittadini. Ci permetta di fare la nostra parte, per avviare tutti insieme questa rivoluzione, questa riforma del Servizio sanitario nazionale, che è l’unica vera risposta al malessere dei medici e ai bisogni di salute dei cittadini”.

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