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L'efficacia del vaccino Pfizer cala dopo sei mesi

Farmaci Redazione DottNet | 29/07/2021 16:28

Secondo uno studio nel periodo compreso tra una settimana e due mesi dopo la seconda dose, l’efficacia è stata del 96,2 percento, tra due e quattro mesi, l’efficacia è scesa al 90,1 per cento. E da quattro mesi a sei mesi, l’efficacia ha raggiunto l’

Secondo uno studio nel periodo compreso tra una settimana e due mesi dopo la seconda dose, l’efficacia è stata del 96,2 percento, tra due e quattro mesi, l’efficacia è scesa al 90,1 per cento. E da quattro mesi a sei mesi, l’efficacia ha raggiunto l’83,7%

Dal fronte degli ospedali arriva una forte preoccupazione: l’efficacia del vaccino Pfizer nel prevenire il contagio diminuisce con il tempo scendendo, a sei mesi dalla seconda dose, dal 96% all’83,7%. La valenza contro le forme gravi di malattia da Covid, invece, rimane alta al 97%. Come si sa gli operatori sanitari sono stati tutti vaccinati con Pfizer (i primi hanno ricevuto la dose lo scorso dicembre) e proprio a loro scadrà quanto prima la copertura, dunque saranno i più esposti al rischio contagi. Uno studio appena pubblicato (clicca qui per scaricare il testo completo) ha analizzato i risultati di 42mila volontari da sei Paesi che hanno partecipato a una sperimentazione clinica iniziata da Pfizer e BioNTech lo scorso luglio e conclusasi il 13 marzo. Nel periodo compreso tra una settimana e due mesi dopo la seconda dose, l’efficacia è stata del 96,2 percento. Nel periodo compreso tra due e quattro mesi, l’efficacia è scesa al 90,1 per cento. E da quattro mesi a sei mesi, l’efficacia ha raggiunto l’83,7 percento senza, però, misurare il tasso di infezioni virali asintomatiche.

Il nuovo studio arriva sulla scia di un’analisi analoga proveniente da Israele che suggeriva come la protezione del vaccino Pfizer potrebbe essere in declino nel Paese con il record di vaccinazioni Pfizer. I dati diffusi nel mese di maggio dal ministero della salute israeliano dimostravano un’efficacia del vaccino Pfizer pari al 94,3% nella prevenzione dei contagi asintomatici, mentre nel mese di giugno, quando la variante Delta era maggiormente diffusa, la copertura si attestava intorno al 64%. Rispetto alla malattia grave il tasso di efficacia era in calo solo del 5%. Ma è bene precisare che i numeri arrivano da un periodo in cui la variante Delta, che rende i vaccini un po’ meno efficaci contro le infezioni, non era dominante come è diventata ora in centinaia di Paesi al mondo, anche se studi recenti hanno dimostrato che i vaccini rimangono fortemente protettivi contro i peggiori esiti da Covid anche con le infezioni causate dalla Delta.

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Con i casi di coronavirus in aumento in molti stati, i risultati potrebbero influenzare le decisioni delle amministrazioni sulla fornitura della terza dose e le case farmaceutiche hanno tutto l’interesse per promuovere studi mirati. Proprio in queste ore la stessa Pfizer ha condiviso i risultati delle sperimentazioni sulla terza dose del suo vaccino originale contro la variante Delta: i livelli di anticorpi sono aumentati di 5 volte tra i 18-55 anni e di 11 volte tra i 65-85 anni. Tuttavia la decisione sulla terza dose però non è unanime e c’è grande incertezza: se la Food and Drug Administration Usa sostiene che  "gli americani completamente vaccinati non hanno bisogno di una dose di richiamo in questo momento", si attende  invece il via libera dell'Aifa e del ministero della salute alla somministrazione della terza dose. Per l'Ema è troppo presto per confermare se e quando sarà necessaria una dose di richiamo per i vaccini Covid-19, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne di immunizzazione e dagli studi in corso per capire quanto durerà la protezione dai vaccini.

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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