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Il18% degli ipertesi prende farmaci che innalzano i livelli pressori

Farmaci Redazione DottNet | 23/11/2021 14:37

Emerge da uno studio condotto da ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston pubblicato su JAMA Internal Medicine

Quasi il 20% delle persone ipertese assume altri medicinali, oltre a quelli per la pressione, che hanno come effetto collaterale proprio quello di innalzare i livelli pressori. È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston pubblicato su JAMA Internal Medicine.  La ricerca è stata realizzata su un campione di 27.599 persone rappresentativo della popolazione americana, la metà delle quali con ipertensione. Nel complesso, il 14,9% del campione assumeva farmaci che potevano far salire la pressione, ma questa percentuale raggiungeva il 18,5% negli ipertesi. I farmaci con un effetto deleterio sulla pressione impiegati più di frequente erano gli antidepressivi (8,7%) seguiti dagli antinfiammatori non steroidei, o FANS, (6,5%), dai corticosteroidi (1,9%) e dagli estrogeni (1,7%).   L'uso di almeno due di questi farmaci aumentava del 49% le probabilità di non ottenere un controllo della pressione per chi ancora non era in terapia.

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In chi era già in cura, invece, è stato osservato un maggior uso di farmaci anti-ipertensivi per far rientrare la pressione nei livelli ottimali. Una parte dei pazienti, poi, nonostante l'aumento dei farmaci ipertensivi non riusciva a tenere sotto controllo la pressione.  "Molti farmaci noti per aumentare la pressione arteriosa hanno alternative terapeutiche senza questo effetto avverso", scrivono i ricercatori. "I medici che si prendono cura dei pazienti con ipertensione dovrebbero eseguire regolarmente uno screening per i farmaci che possono causare un aumento della pressione e considerare la soppressione della prescrizione, la loro sostituzione con alternative terapeutiche più sicure e la riduzione al minimo della dose e della durata dell'uso quando le alternative non sono disponibili".

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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