Canali Minisiti ECM

Studio italiano identifica i fattori del rischio trombosi in pazienti Covid

Cardiologia Redazione DottNet | 23/03/2022 12:03

I bassi livelli di albumina ed elevati valori di D-dimero sono il mix di fattori che provocano la trombosi venosa profonda

Età superiore ai 70 anni, bassi livelli di albumina ed elevati valori di D-dimero sono il mix di fattori che identifica i pazienti Covid a maggior rischio di trombosi venosa profonda, una delle gravi complicanze dell'infezione da Sars Cov-2. A individuarlo è uno studio italiano coordinato da Francesco Violi, professore emerito dell'Università Sapienza di Roma, in collaborazione con Lorenzo Loffredo, ordinario di Medicina Interna, Pasquale Pignatelli, associato di Medicina Interna e Annarita Vestri, ordinario di Statistica Medica, che è stato pubblicato su Thrombosis and Haemostasis.

I pazienti Covid-19 hanno un elevato rischio di mortalità quando la malattia si complica con una polmonite bilaterale ed è necessaria la ventilazione meccanica.

Una delle principali cause di mortalità è l'elevato rischio di trombosi, che può presentarsi sia nel distretto venoso (con trombosi venosa profonda o embolia polmonare) sia in quello arterioso (con infarto del miocardio o ictus). In particolare, coloro che avevano una combinazione di età elevata (più di 70anni) bassa albumina (<35 g/L) e D-dimero elevato (>2000ng/ml), avevano una maggiore probabilità di trombosi. "Con in mano questo semplice punteggio, è adesso possibile stabilire chi è a maggiore rischio di trombosi e che ha necessità di un trattamento anticoagulante", dice Violi.

pubblicità

Malgrado siano passati due anni dall'inizio dell'epidemia Covid-19, c'è un dibattito se la prevenzione di questi eventi trombotici vada fatta con una terapia anticoagulante standard o con dosi profilattiche, cioè basse dosi di anticoagulanti. Questo aspetto è rilevante in quanto le basse dosi di anticoagulante, che a tutt'oggi sono la terapia più usata, potrebbero essere insufficienti a ridurre il rischio trombotico. Una risposta a questa seconda problematica è stata fornita dallo stesso gruppo di ricerca in un lavoro pubblicato su Haematologica, rivista ufficiale della Società Europea di Ematologia, che ha comparato i due tipi di trattamento. "Abbiamo dimostrato che le dosi standard di anticoagulanti sono superiori alle dosi profilattiche nel ridurre gli eventi trombotici senza aumentare il rischio di emorragie serie, e rappresenterebbe, pertanto, un utile supporto non solo per ridurre gli eventi trombotici, ma forse anche della mortalità, che, purtroppo, rimane ancora elevata", conclude Violi. 

Commenti

I Correlati

I risultati dello studio hanno dimostrato chiaramente che il trattamento con indometacina era associato a un significativo miglioramento dei sintomi e dei livelli di saturazione dell'ossigeno

Lo rivela uno studio pubblicato su MDPI Applied Sciences e condotto dal team di ricerca ed innovazione di ELT Group e della controllata E4Life in collaborazione con il Dipartimento Energia del Politecnico di Torino

Studio condotto dall'Università di Trieste e Firenze

Il focus della ricerca è l’impiego di terapie geniche innovative basate su DNA e RNA progettate per agire direttamente sulla proteina responsabile della patologia

Ti potrebbero interessare

Società scientifiche ed esperti concordano sulla necessità di agire sull’organizzazione e il monitoraggio – anche attraverso i LEA - e sulla comunicazione per un paziente più consapevole

Per colmare questo vuoto, è stato realizzato il Manifesto: “Rischio cardiovascolare residuo: analisi del contesto e delle opzioni terapeutiche, tra innovative strategie di prevenzione e sostenibilità di sistema”

Abbott annuncia la disponibilità in Italia di AVEIR™ DR, il primo sistema di pacemaker bicamerale senza fili al mondo per trattare le persone con un ritmo cardiaco anomalo o più lento del normale. Eseguiti già i primi impianti in Italia

Ultime News

Più letti