I risultati dello studio hanno dimostrato chiaramente che il trattamento con indometacina era associato a un significativo miglioramento dei sintomi e dei livelli di saturazione dell'ossigeno
All'inizio della pandemia di COVID-19, a causa della mancanza di indicazioni da parte della medicina basata sull'evidenza (EBM) su come trattare i pazienti contagiati, la classe medica ha affrontato notevoli difficoltà, non solo per contrastare la grave l'infezione sconosciuta, ma anche per il gran numero di casi di ricoveri ospedalieri e decessi. Sarebbe stato necessario cercare immediatamente tra i farmaci già disponibili sul mercato quelli che potessero essere potenzialmente efficaci contro il SARS-CoV-2 (1, 2). La letteratura scientifica già conteneva alcuni autorevoli studi sperimentali, che dimostravano l'efficacia dell'indometacina contro il SARS-CoV.
L’indometacina, farmaco antinfiammatorio con azione antivirale
L'indometacina è un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) commercializzato in Italia da oltre 50 anni e utilizzato per alleviare il dolore, l'infiammazione e la febbre, azioni esercitate mediante l’inibizione delle ciclossigenasi 1 (COX-1) e ciclossigenasi 2 (COX-2). Oltre alla sua documentata attività anti infiammatoria, l’indometacina ha dimostrato anche attività antivirale contro diversi virus (4-7). La sua attività antivirale è indipendente dalla sua azione inibitoria della COX ma, si esplica attraverso l’attivazione selettiva della proteina chinasi R (PKR), che a sua volta induce una rapida fosforilazione del fattore di inizio della trascrizione eucariotica-2α (eIF2α), inibendo la replicazione virale [5, 8] (Figura 1).
Il Dr. Jonathan Leibowitz, il Dr. Robert Rothstein e la Dr. Aline Benjamin, medici di medicina generale di New York, venuti a conoscenza dello studio italiano del gruppo della Dr.ssa Amici, iniziarono a curare i loro pazienti (circa 60) con buoni risultati (9).
In un reparto di nefrologia in India, 17 pazienti sintomatici, risultati positivi al SARS-CoV-2, sono stati trattati con indometacina. A tutti i pazienti è stata somministrata indometacina alla dose di 25 mg due volte al giorno. In 14 pazienti, febbre, tosse e dolori muscoloscheletrici sono scomparsi dopo le prime due dosi. Un paziente ha richiesto un aumento della dose a 75 mg al giorno. Due pazienti hanno sviluppato ipossiemia e hanno richiesto la somministrazione endovenosa di metilprednisolone. Tutti i pazienti presentavano comorbilità significative (10).
Nel dicembre 2021, il nostro gruppo ha pubblicato i risultati di uno studio osservazionale retrospettivo sugli esiti e sui tassi di ospedalizzazione dei pazienti italiani con diagnosi confermata di COVID-19 e trattati a distanza a domicilio entro 3 giorni o 3 giorni dopo la comparsa dei sintomi con una combinazione di farmaci, il principale dei quali era l'indometacina, scelta non solo per la nota attività antinfiammatoria ma soprattutto per la sua attività antivirale. Durante l’analisi dei dati, i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in base alla tempistica di intervento, al primo gruppo la terapia è stata prescritta entro il terzo giorno dalla comparsa dei sintomi; nel secondo gruppo, invece, i pazienti hanno cominciato ad assumere la terapia dopo il terzo giorno. Sono stati analizzati i dati completi di 158 pazienti. Il trattamento consisteva in 75 mg al giorno di indometacina per i pazienti fino a 70 kg, 100 mg al giorno per i pazienti oltre i 70 kg, 100 mg al giorno di cardioaspirina, 200 mg al giorno sia di esperidina che di quercetina e una compressa da 20 mg al giorno di omeprazolo. Questo trattamento è stato concepito per potenziare l'azione dell'indometacina, riducendone al contempo gli effetti avversi. Dei 158 pazienti arruolati, 85 hanno iniziato il trattamento entro 3 giorni dalla comparsa dei sintomi (gruppo 1), mentre 73 pazienti hanno iniziato il trattamento dopo il terzo giorno dalla comparsa dei sintomi (gruppo 2). Questa distinzione è stata fatta sulla base della precedente osservazione che i pazienti che avevano iniziato il trattamento alla comparsa dei sintomi avessero ottenuto risultati migliori e dell'idea che l'indometacina, intesa come antivirale, dovesse essere somministrata il prima possibile al fine di prevenire la replicazione virale e il conseguente peggioramento clinico. Il trattamento è stato avviato nel gruppo 1 in media 2,05 ± 0,68 giorni dopo la comparsa dei sintomi e nel gruppo 2 5,85 ± 1,36 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Dopo il trattamento, i sintomi sono scomparsi in media dopo 6 giorni nel gruppo 1, mentre nel gruppo 2 sono persistiti per una media di 13 giorni. Nessun paziente del gruppo 1 ha richiesto il ricovero in ospedale, mentre 14 pazienti del gruppo 2 hanno richiesto il ricovero, due dei quali sono deceduti (11). Il rischio di un esito sfavorevole risultava aumentato di 4 volte per ogni giorno di ritardo per l’inizio della terapia. Inoltre, mentre la percentuale media di decessi nei pazienti affetti da COVID-19, nello stesso periodo (2020/2021) in Italia, era del 2,78% [33], i dati dello studio mostrano che, complessivamente, nei pazienti trattati con indometacina, la mortalità è stata ridotta all'1,26% (11).
Sono stati pubblicati altri studi clinici sulla efficacia del trattamento con indometacina dei pazienti con COVID-19. Tra questi, interessante è uno studio randomizzato in aperto pubblicato nell’aprile 2022 da un gruppo indiano, che ha confrontato l'indometacina con il paracetamolo in un gruppo di 210 pazienti ricoverati in ospedale per COVID-19 da lieve a moderato. Di questi, 103 pazienti sono stati randomizzati al trattamento con indometacina 75 mg al giorno (150 se BMI >30) in aggiunta alle cure ospedaliere standard, mentre i restanti 107 pazienti sono stati randomizzati al trattamento con paracetamolo 650 mg quattro volte al giorno. I risultati dello studio hanno dimostrato chiaramente che il trattamento con indometacina era associato a un significativo miglioramento dei sintomi e dei livelli di saturazione dell'ossigeno. Infatti, 20 dei 107 pazienti (18,7%) nel braccio del paracetamolo hanno presentato desaturazione e hanno richiesto supporto respiratorio, rispetto a nessun paziente nel gruppo dell'indometacina. Inoltre, il numero mediano di giorni per la scomparsa della febbre è stato di tre nel gruppo dell'indometacina, mentre nel gruppo del paracetamolo è stato di sette giorni. Il numero mediano di giorni necessari per la risoluzione della tosse e della mialgia era di quattro e sette giorni rispettivamente nei gruppi trattati con indometacina e paracetamolo. I risultati di questo studio dimostrano senza dubbio la superiorità dell'indometacina rispetto al paracetamolo contro il peggioramento del COVID-19 verso la desaturazione dovuta, in generale, a polmonite interstiziale e/o tromboembolia polmonare (12).
Discussione
Per affrontare al meglio la pandemia di COVID-19 in assenza di linee guida EBM, l’interazione e, quindi, il dialogo tra le istituzioni e gli operatori sanitari impegnati sul campo nella cura a domicilio, non solo i medici ospedalieri, avrebbero probabilmente potuto determinare il sovraccarico ospedaliero e l’impressionante numero di decessi e di sequele croniche che ancora oggi gravano sulla spesa sanitaria. L’esperienza acquisita dai medici intervenuti per prevenire le ospedalizzazioni ha costituito un valore aggiunto, purtroppo incompreso, che avrebbe potuto aiutare ad arginare i ricoveri, le complicanze e i decessi dovuti alla malattia, se le conoscenze acquisite fossero state messe a disposizione di tutti, favorendo il confronto. Invece, il COVID-19 è stato trattato come una malattia che richiedeva cure ospedaliere quando le condizioni dei pazienti peggioravano. Ciò ha comportato un grave sovraccarico dei reparti ospedalieri, con conseguenti gravi disfunzioni, costi sanitari enormemente elevati e un numero eccessivo di decessi.
Sarebbe stato necessario uno studio prospettico, randomizzato e controllato, con un campione ampio, per confermare le nostre osservazioni sull’efficacia della indometacina, ma, nonostante le reiterate richieste, questo non è stato effettuato. Tuttavia, sulla base della nostra esperienza e dei dati scientifici disponibili finora, riteniamo che se questo farmaco fosse stato utilizzato tempestivamente ai primi sintomi della malattia, al posto del paracetamolo, avrebbe potuto contribuire a prevenire il progredire del peggioramento della malattia, con una significativa riduzione dei ricoveri ospedalieri e dei decessi.
Prof. Serafino Fazio M.D., già Professore Associato di Medicina Interna alla Università Federico II di Napoli.
Dottoressa Flora Affuso, Ricercatrice Indipendente, Napoli
Bibliografia.
Firmato accordo Società Farmacologia e EGUALIA per la formazione
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