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Claudio Bilato, la pandemia delle malattie cardiovascolari

Cardiologia Redazione DottNet | 01/12/2022 16:00

Le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte nei paesi Europei e contano poco meno di 2,2 milioni di decessi nelle donne e poco più di 1,9 milioni negli uomini

Per Claudio Bilato, Direttore Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Ospedali dell'Ovest Vicentino, le malattie cardiovascolari sono considerate la nuova pandemia del mondo moderno.

Qual è l’epidemiologia e l’impatto di queste patologie oggi in Italia?

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Le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte nei paesi Europei e contano poco meno di 2,2 milioni di decessi nelle donne e poco più di 1,9 milioni negli uomini. Questi dati corrispondono rispettivamente al 45% e al 39% di tutte le morti. Tra queste patologie la cardiopatia ischemica è la causa più comune di morte per CVD e rappresenta il 38% di tutti i decessi per malattie cardiovascolari nelle donne e il 44% negli uomini, seguita dall'ictus che rappresenta il 26% di tutti i decessi nelle donne e il 21% negli uomini.  In Italia l’incidenza delle malattie cardiovascolari si attesta nella media dei Paesi Europei (719 casi annui ogni 100mila abitanti) mentre la prevalenza risulta più elevata della media (7.499 casi ogni 100mila abitanti) a causa dell’età media particolarmente alta della nostra popolazione1. Nel nostro Paese queste patologie rappresentano la prima causa di morte e sono responsabili del 44% di tutti i decessi; la cardiomiopatia ischemica in particolare è responsabile del 28% di tutte le morti, mentre gli eventi cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori.  In generale le donne risultano meno preoccupate per le malattie cardiovascolari rispetto a quelle neoplastiche, anche se la mortalità per cause cardiovascolari è di gran lunga maggiore, come dimostrato anche da un’indagine svolta in America in cui è risultato che 1 donna su 3 muore per cardiopatia ischemica mentre 1 donna su 30 per cancro al seno. 

Quali sono state le implicazioni del Covid-19 sulle malattie cardiovascolari?

L’impatto del Covid-19 sulle malattie cardiovascolari può essere classificato in tre tipologie: il primo effetto si è registrato nelle persone colpite dal virus, in particolare nella fase primaria o acuta della malattia, durante la quale l’infezione del virus ha generato infezioni del tessuto miocardico, trombosi, aritmie e cardiomiopatie da stress. Queste manifestazioni acute del Covid-19 sono legate nello specifico a due meccanismi: l’infiammazione sistemica e l’infezione diretta del virus che hanno portato ad un primitivo danno miocardico, all’aumento di infarti e ictus oltre che ad eventi aritmici e tromboembolici. Il secondo effetto della pandemia da Covid-19 è legato al ritardo nella gestione delle malattie cardiovascolari, in particolare alla riduzione di interventi di cardiologia preventiva che avevano lo scopo di prevenire alcuni incidenti cardiovascolari, e alla riduzione delle ospedalizzazioni per scompenso. Questo ritardo ha già determinato ripercussioni negative nell’immediato (si stima, ad esempio, che la riduzione degli accessi alle strutture ospedaliere si sia tradotto in un aumento di circa il 5% degli arresti cardiaci, registrati al di fuori dall’ospedale, e della mortalità) ma avrà conseguenze sfavorevoli soprattutto nel medio termine per la diminuzione degli interventi preventivi. Il terzo effetto, che sarà osservabile invece nell’arco di mesi o anche anni, è relativo all’impatto della pandemia sugli aspetti sociali - come isolamento, depressione e ansia - ed economici. 

Quali sono i trattamenti oggi disponibili per abbattere il rischio cardiovascolare?

Le Linee Guida ESC 2021 (European Society of Cardiology) raccomandano come primo trattamento utile ad abbattere il rischio cardiovascolare uno stile di vita sano che preveda attività fisica quotidiana ed una dieta equilibrata che permetta di tenere sotto controllo il peso entro i limiti fisiologici. Si aggiungono fattori psicosociali e il trattamento dei fattori di rischio delle malattie cardiovascolari come fumo, controllo della pressione, diabete, controllo dei livelli lipidici – differenti in base al rischio cardiovascolare - e anche gli interventi specifici di prevenzione secondaria come le terapie antitrombotiche.  A queste raccomandazioni si associa poi l’utilizzo di trattamenti farmacologici come le statine e più recentemente gli inibitori di PCSK9 che riducono rispettivamente circa il 30-50% e il 60-75% dei livelli di LDL-C, ovvero il colesterolo ‘cattivo’.  

Esiste un bisogno di cura ancora insoddisfatto che gli attuali trattamenti non permettono di coprire?

Nonostante i diversi trattamenti disponibili per la gestione delle malattie cardiovascolari, i pazienti continuano a presentare un rischio residuo, ovvero un rischio che persiste nonostante la somministrazione delle terapie e che è la risultante di differenti aspetti come ad esempio un diabete non curato, uno stato di infiammazione cronico, elevati livelli di colesterolo non trattato in modo corretto, il mancato utilizzo di farmaci antitrombotici dopo un evento coronarico e infine, livelli di trigliceridi molto elevati.

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