"Con la chirurgia laparoscopica riusciamo a ridurre rischi e tempi di ripresa"
Una cattiva alimentazione, l’inquinamento, ma anche fattori di predisposizione genetica. Sono gli ingredienti principali di un mix che sempre più spesso porta all’insorgenza del morbo di Crohn o alla rettocolite ulcerosa, malattie infiammatorie dell’intestino. «Ormai, le diagnosi di queste patologie hanno frequenza prima impensabile», rivela Francesco Selvaggi (ordinario di Chirurgia e primario del reparto di Chirurgia colorettale alla Vanvitelli di Napoli). «In diversi casi il trattamento con anticorpi monoclonali porta a risultati duraturi. Tuttavia, se la risposta farmacologica è insufficiente diventa necessario intervenire chirurgicamente».
Proprio il reparto diretto dal professor Selvaggi è tra i centri di riferimento regionali per la chirurgia mini-invasiva (chirurgia laparoscopica) di queste patologie, con ben 120 interventi realizzati nel solo 2022.
«Oggi il 15-30% dei pazienti con colite ulcerosa viene sottoposto ad intervento chirurgico nel caso di urgenze, insufficiente risposta alla terapia medica, effetti collaterali o insorgenza di un tumore. Questa indicazione, pur comportando la rimozione del colon, è risolutiva della malattia ed è possibile effettuarla con un solo intervento o in più fasi, a seconda delle condizioni generali del paziente. Studi di comparazione di prestigiose strutture universitarie-ospedaliere negli Stati Uniti dimostrano la fattibilità di questo intervento in chirurgia laparoscopica. E i nostri dati ci portano a confermare pienamente questa possibilità». Ma, come si interviene? «La tecnica prevede la rimozione del colon-retto e la ricostruzione di un nuovo retto "pouch" (marsupio, ndr) che sostituirà l’organo rimosso. Una tecnica che offre enormi vantaggi, soprattutto nelle donne, visto che limita le aderenze e il rischio di infertilità.
Ma è sempre possibile applicare questa tecnica alla colite ulcerosa? «In una piccola percentuale di pazienti bisognerà ricorrere alla chirurgia aperta, comunque con ottimi risultati funzionali. La malattia di Crohn invece, nella sua forma classica, può essere affrontata con la chirurgia mini-invasiva. È importante che il paziente abbia bassi indici di massa corporea, giovane età e che si possa procedere con un intervento non particolarmente demolito per intervenire con questa tecnica. La bontà della metodica applicata a questi pazienti paragonata alla terapia con biologici è stata oggetto di uno studio importante. Uno studio che mostra i vantaggi di intervenire chirurgicamente in pazienti che rispondono poco e male alla terapia, specie se di giovane età». Nei casi più complessi, conclude il professor Selvaggi, si può intervenire con una chirurgia "ibrida", cioè in parte laparoscopica e in parte "a cielo aperto". Anche in questi casi si ottengono incisioni limitate e nascoste e una ripresa più rapida post-operatoria.
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