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Il Long Covid continua a colpire, Ocse: un paziente su 14 ne soffre ancora. In Italia il maggior numero di casi

Infettivologia Redazione DottNet | 20/05/2025 18:05

Via libera all'l’Accordo pandemico globale adottato dall’Assemblea generale Oms. Ma l'Italia si astiene: "Vogliamo riaffermare la sovranità degli Stati"

Secondo i dati dell’OCSE, raccolti attraverso la survey internazionale PaRIS, il 7,2% della popolazione over 45 che si rivolge ai servizi di cure primarie nei Paesi OCSE ha dichiarato di aver sofferto o soffrire ancora di Long COVID. E il 5,1% continua ad avere sintomi persistenti. Numeri che raccontano un’epidemia cronica, spesso sottovalutata e mal gestita. Tra i Paesi OCSE analizzati, l’Italia registra una delle percentuali più alte di Long COVID nella popolazione assistita in cure primarie: circa il 9% dei pazienti over 45 ha riferito di aver sperimentato sintomi prolungati dopo il COVID. Inoltre, il 22,9% delle persone che hanno avuto l’infezione ha riportato sintomi compatibili con Long COVID, il dato più alto fra i Paesi europei coinvolti nella survey PaRIS. Anche la persistenza oltre i 12 mesi dei sintomi è elevata: quasi il 4% dei pazienti italiani continua a manifestare disturbi legati al Long COVID.

Questo colloca l’Italia in una fascia alta di incidenza, subito dietro Norvegia e Islanda.

Il Long COVID – una condizione caratterizzata da sintomi che si protraggono per più di tre mesi dopo l’infezione iniziale – è un rebus ancora poco decifrato per la medicina. I pazienti raccontano un’esperienza clinica frammentata, fatta di stanchezza estrema, dolori muscolari, disturbi respiratori, neurologici e psicologici. La fatica cronica, per esempio, colpisce un paziente su cinque con Long COVID, il doppio rispetto alla media degli altri pazienti.  Eppure, il riconoscimento ufficiale della condizione rimane discontinuo: solo due terzi dei Paesi OCSE adottano una definizione standardizzata (OMS o NASEM), e meno della metà ha sviluppato percorsi di cura strutturati.

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Contrariamente all'immaginario comune che associa le complicanze COVID agli anziani, il Long COVID colpisce con maggiore frequenza donne tra i 45 e i 54 anni e persone con un alto livello di istruzione. Inoltre, il rischio aumenta con il numero di patologie croniche preesistenti. Ma anche in assenza di altre malattie, il 6% dei pazienti riferisce di aver sperimentato sintomi prolungati. I numeri sono chiari anche su un altro fronte preoccupante: chi ha il Long COVID mostra una minore fiducia nel sistema sanitario. Solo il 58% di questi pazienti dichiara di fidarsi del proprio sistema di cura, contro il 64% di chi non ha avuto Long COVID. Un terzo di loro ha dovuto ripetere le stesse informazioni cliniche più volte, segno di una mancata integrazione tra i professionisti e i livelli di cura. Il Long COVID, pur non impattando in modo significativo sull’occupazione secondo i dati PaRIS (una media del 13% è in malattia o disoccupata, dato simile a quello della popolazione generale con patologie croniche), pone interrogativi cruciali sulla sostenibilità dei sistemi sanitari e sul carico di malattia nel lungo periodo. Circa il 3,5% dei pazienti continua a manifestare sintomi oltre l’anno dall’infezione. L’OCSE lancia un messaggio chiaro: bisogna investire in formazione del personale sanitario per migliorare il riconoscimento dei sintomi e definire percorsi di cura standardizzati. In gioco non c’è solo la salute individuale, ma la fiducia stessa nella medicina e nella capacità dei sistemi di prendersi cura dei cittadini.

Intanto l'Assemblea Mondiale della Sanità, organo legislativo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha formalmente adottato il primo Accordo Pandemico Globale, nato per rafforzare la preparazione e la risposta collettiva a future pandemie. L'accordo arriva dopo tre anni di intensi negoziati avviati a seguito delle lacune emerse durante la pandemia di COVID-19. Nel voto in commissione che ha preceduto l'adozione formale, 124 Paesi si sono espressi a favore, nessuno ha votato contro, mentre 11 Paesi si sono astenuti: tra questi ci sono oltre all'Italia, che ha ribadito la centralità della sovranità nazionale nelle decisioni in materia di salute pubblica, Polonia, Slovacchia, Iran, Israele e Russia. Si tratta del secondo accordo vincolante negoziato sotto l'articolo 19 della Costituzione dell'OMS, dopo la Convenzione quadro per il controllo del tabacco del 2003. Una volta ratificato da almeno 60 Paesi, l'Accordo Pandemico entrerà ufficialmente in vigore.

“Il mondo è oggi più sicuro grazie alla leadership, alla collaborazione e all'impegno dei nostri Stati membri nell'adottare questo accordo storico”, ha dichiarato il Direttore Generale dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus. “È una vittoria per la salute pubblica, per la scienza e per l'azione multilaterale”. Il nuovo Accordo stabilisce principi, strumenti e meccanismi per rafforzare la cooperazione internazionale in caso di future emergenze sanitarie, con particolare attenzione all'accesso equo e tempestivo a vaccini, terapie e diagnostica. Secondo il testo approvato, l'OMS non potrà in alcun modo imporre agli Stati misure specifiche come lockdown, obblighi vaccinali o restrizioni ai viaggi. L'accordo riafferma il rispetto della sovranità nazionale nelle politiche sanitarie, un punto chiave emerso durante le trattative. Il presidente dell'Assemblea di quest'anno, Teodoro Herbosa, Segretario alla Salute delle Filippine, ha sottolineato come l'accordo rappresenti “un'opportunità unica per garantire che le lezioni apprese dal COVID-19 non vadano sprecate”.

Tra i prossimi passi previsti, l'avvio dei negoziati per definire il sistema globale di condivisione dei patogeni e dei benefici derivanti (PABS), che sarà discusso nella prossima Assemblea Mondiale. Questo sistema dovrebbe garantire che una parte della produzione globale di strumenti sanitari - almeno il 20% - venga destinata rapidamente ai Paesi in base a rischio e necessità, con priorità a quelli in via di sviluppo. L'accordo prevede inoltre la creazione di un Meccanismo Finanziario di Coordinamento e di una Rete Globale per la Logistica e la Catena di Fornitura, con l'obiettivo di superare le disuguaglianze nell'accesso ai prodotti sanitari durante le emergenze.

L'astensione dell'Italia non è stata gradita dall'opposizione. “La scelta dell'Italia di astenersi sul piano pandemico mondiale promosso dall'OMS è gravissima. Ancora una volta il governo Meloni decide di isolare il paese per seguire le sirene negazioniste e antiscientifiche. Nessuna lezione dal Covid, anzi una chiusura di fronte alle ragioni della scienza e alla necessità di coordinare a livello globale strategie, risorse e ricerche. Una figura pessima a livello mondiale solo per compiacere i no vax di casa nostra e la scelta scellerata di Trump che tra i primi atti dopo l'insediamento firmò l'uscita degli Stati Uniti dall'Organizzazione mondiale della sanità” ha scritto Chiara Braga, capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati. “Credo sia estremamente grave la decisione del governo Meloni di astenersi sul cosiddetto ‘accordo pandemico’ dell'Oms, il documento che parla di prevenzione, preparazione e risposta alle future minacce pandemiche. Dopo le sterili polemiche sull'eventuale fuoriuscita dell'Italia dall'Organizzazione mondiale della Sanità, il nostro esecutivo si schiera nella stessa posizione di Russia, Iran e Israele e contro i 124 Paesi che hanno approvato il documento” scrive Andrea Quartini, Capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali alla Camera e Coordinatore del Comitato Politico Salute e Inclusione Sociale del M5S.

“La scelta dell'Italia di astenersi sull'accordo per il Patto pandemico nell'Assemblea dell'Oms è insensata e imbarazzante. L'Italia si ritrova in una sparuta minoranza di 11 paesi, tra cui Russia e Iran, su un testo fondamentale per garantire che quanto accaduto con il Covid non possa ripetersi. È tanto più grave in quanto l'Italia è stato uno dei paesi più colpiti dalla pandemia. Il governo deve venire subito in Parlamento a spiegare questa scelta assurda”. Lo afferma in una nota la senatrice Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva.


 

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