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Omesso ricovero e decesso di una paziente cronica: la Cassazione annulla l’assoluzione del medico di famiglia

Medlex Redazione DottNet | 14/07/2025 17:53

Il professionista non diponeva il ricovero della sua assistita e, a seguito dell’aggravarsi delle condizioni, la donna decedeva dopo un accesso in emergenza

Una paziente affetta da gravi patologie croniche era stata visitata da una specialista, che aveva segnalato al medico di base la necessità di un ricovero urgente. Tuttavia, il ricovero non fu disposto e, a seguito di un peggioramento delle condizioni cliniche, la donna decedette dopo un accesso in pronto soccorso. Il medico di medicina generale, imputato per omicidio colposo, era stato assolto sia in primo che in secondo grado. La Corte di Cassazione, però, ha annullato la sentenza d'appello, rinviando per un nuovo giudizio (Cass. pen., sez. IV, sent. 9 luglio 2025, n. 25145). Lo riposrta responsavilecivile.it con un articolo dell'avvocato Emanuele Foligno.

Il quadro clinico e l’assenza di ricovero tempestivo

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La paziente, diabetica, obesa e affetta da edema, ulcere essudanti ed erisipela agli arti inferiori, presentava un quadro cronico complesso. Il 16 febbraio 2016 fu visitata a domicilio dalla dott.ssa R., specialista in patologie affini, che segnalò la necessità di un ricovero urgente per un adeguato inquadramento clinico-diagnostico, prescrivendo al contempo una terapia antibiotica di 30 giorni. Durante il processo, la dott.ssa R. ha chiarito che, al momento della visita, non vi erano presupposti per un ricovero immediato, pur avendo comunicato al medico di base l’esigenza di programmare quanto prima il ricovero. Secondo l’accusa, il medico, pur essendo stato informato delle condizioni precarie della paziente, non si attivò per il ricovero, contribuendo così all’aggravarsi del quadro clinico e, infine, alla morte della donna. Nei giorni successivi, la situazione peggiorò: la paziente smise di alimentarsi, sviluppò stato confusionale e difficoltà respiratorie. Il 15 marzo 2016, fu trasportata d’urgenza all’ospedale di Reggio Calabria, dove fu ricoverata in terapia intensiva fino al decesso.

Il percorso giudiziario

La Corte d’appello di Reggio Calabria, in seguito a un primo rinvio della Cassazione, aveva confermato l’assoluzione, ritenendo che il decesso non fosse riconducibile a responsabilità del medico di base. I giudici hanno fatto proprie le conclusioni del perito, secondo cui la causa del decesso fu un’insufficienza multiorgano da sepsi, complicata da infezioni gravi (come acinetobacter baumannii, E. coli, candida albicans, polmonite, infezione urinaria complicata, erisipela severa). Tra i fattori aggravanti sono stati indicati anche la mancanza di alimentazione per almeno dieci giorni, lo scompenso metabolico e le cattive condizioni igieniche. Inoltre, è stato escluso che il 16 febbraio sussistessero i presupposti per un ricovero urgente, come confermato dalla stessa specialista e dai consulenti tecnici. È stato inoltre accertato che il medico trasmise il modulo per il ricovero il giorno successivo alla visita della dott.ssa R. La Corte ha quindi ritenuto non provato che egli fosse stato informato del peggioramento successivo, e ha escluso ogni addebito.

Il mancato sopralluogo e la posizione di garanzia

Tuttavia, i familiari della paziente hanno proposto ricorso, sostenendo che, trattandosi di una patologia in evoluzione, il medico avrebbe dovuto attivarsi indipendentemente dall'urgenza immediata, soprattutto in virtù della sua posizione di garanzia. Hanno inoltre contestato che la Corte d’appello abbia attribuito rilevanza al mancato intervento diretto della specialista, ignorando le regole sulla successione delle responsabilità. La Corte di Cassazione ha accolto uno dei motivi di ricorso. Ha ritenuto errata la valutazione della Corte d’appello, che aveva escluso dal giudizio altri profili di colpa (come la negligenza nel monitoraggio del decorso clinico) in quanto non coincidenti con quello espressamente indicato nell’imputazione. Secondo la Suprema Corte, anche condotte diverse dal mancato ricovero immediato possono rientrare nel medesimo fatto storico oggetto di giudizio. In particolare, è stata sottolineata la condotta omissiva del medico, che, pur essendo consapevole del quadro clinico e delle precarie condizioni igieniche della paziente, si limitò a trasmettere il modulo per il ricovero senza monitorare l’evoluzione della situazione.

La mancata visita domiciliare

Un ulteriore aspetto critico riguarda il rifiuto del medico di effettuare una visita domiciliare, elemento ritenuto in primo grado irrilevante, ma che secondo la Cassazione ha piena rilevanza giuridica. L’instaurarsi del rapporto terapeutico tra medico e paziente attribuisce al primo una posizione di garanzia, che comporta l’obbligo di tutelare la vita e la salute dell’assistito. In ambito di causalità omissiva, l’art. 40 c.p. attribuisce responsabilità a chi ha l’obbligo di agire per impedire l’evento. Il perito ha ribadito che l’aggravamento clinico era prevedibile in assenza di ricovero tempestivo, e che il mancato intervento del medico assume quindi rilievo rispetto ai suoi obblighi di protezione.

Obblighi professionali non adempiuti

La Suprema Corte ha infine ribadito che il medico non avrebbe dovuto limitarsi alla prescrizione del ricovero, ma avrebbe dovuto informare compiutamente la paziente, seguirne l’evoluzione clinica e intervenire tempestivamente per evitare il peggioramento. La sola attivazione burocratica non è sufficiente a esaurire gli obblighi derivanti dalla posizione di garanzia. La Corte d’appello, secondo la Cassazione, avrebbe dovuto valutare se il medico si fosse adeguatamente attivato in rapporto alla sua conoscenza delle condizioni della paziente e all’ambiente in cui questa viveva. Per questi motivi, la sentenza è stata annullata, con rinvio alla Corte d’appello per un nuovo giudizio in sede civile.

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