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Amsi: su circa 47.600 medici stranieri, 24 mila sono specialisti di cui 10 mila in Italia e 14 mila già all'estero

Sanità pubblica Redazione DottNet | 18/08/2025 18:33

Aodi: “da una parte l’irrisolta carenza di specialisti italiani (ecco i nostri dati aggiornati sulla carenza), dall’altra gli specialisti stranieri sono palesemente ostacolati nella loro carriera da numerose criticità"

L’Italia vive una doppia emergenza: da un lato la carenza di medici specialisti italiani, dall’altro la difficoltà di integrare appieno i medici specialisti di origine straniera già presenti e formati. Secondo le stime di AMSI, ASSOCIAZIONE MEDICI DI ORIGINE STRANIERA IN ITALIA, su circa 47.600 medici stranieri in attività, circa 24 mila sono specialisti di cui 10 mila specialisti in Italia e 14 mila specialisti già all'estero. Un numero di certo insufficiente a colmare il vuoto lasciato dai colleghi italiani, nonostante la loro professionalità e la loro presenza in reparti strategici. Perché sono così pochi? C’è una ragione di fondo? Partiamo dall’inizio. 

Specialisti italiani insufficienti, reparti sotto pressione

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Più del 50% dei medici italiani ha più di 55 anni, e molte specialità soffrono di un ricambio generazionale inadeguato. In discipline come medicina d’urgenza, anestesia, pediatria e radiologia, la carenza media supera il 20-25% del fabbisogno reale. Nei pronto soccorso, in alcune regioni, la voragine di specialisti italiani arriva a sfiorare il 40%, con turni spesso sostenuti da personale a contratto o in libera professione.

Specialisti stranieri in Italia: pochi e ostacolati

I medici specialisti stranieri operano soprattutto in reparti chiave: chirurgia generale, ortopedia, fisiatria, ginecologia ,medicina generale anestesia e rianimazione, radiologia, pediatria ed emergenza-urgenza. Le nazionalità più rappresentate sono da noi sono i paesi arabi africani, i paesi dell'est e del sud America e in particolare principalmente: palestinesi, giordani, libanesi, siriani, argentini, cubani, africani del Camerun e del Congo. Quelli specialisti in Italia invece provengono da Romania, Albania, Egitto, Tunisia, Moldavia e dal Sud America (quelli già specialisti nei loro paesi di origine).

Nonostante la loro competenza, oltre il 75% dei medici specialisti stranieri lavora in libera professione, a causa di barriere burocratiche come l’obbligo di cittadinanza nei concorsi e procedure lente di riconoscimento dei titoli. Questo frena la loro piena integrazione nel sistema sanitario pubblico, privando ospedali e servizi territoriali di risorse preziose.

Europa decisamente più avanti: integrazione rapida, meno burocrazia, stipendi che superano il doppio i nostri

In Europa la situazione è diversa: la media di medici specialisti stranieri sul totale è superiore al 15%, con picchi del 25-30% in Germania e Regno Unito. Qui i professionisti vengono inseriti più rapidamente grazie a procedure snelle e contratti stabili, colmando i vuoti in specialità carenti. La Francia, con circa il 12% di medici stranieri, utilizza questi professionisti soprattutto in aree rurali e reparti con alta domanda.

Il caso Veneto e l’impegno della Regione per l’inserimento dei professionisti stranieri 

Il Veneto è la prima Regione italiana ad avvalersi della possibilità, prevista fino al 2027 dal decreto Cura Italia, di impiegare medici stranieri con specializzazione conseguita all’estero ma non ancora riconosciuta in Italia. La misura, motivata dall’emergenza di copertura dei turni nei pronto soccorso e nei reparti più in sofferenza, ha suscitato forti critiche da parte di ordini professionali e sindacati, che la definiscono una soluzione "creativa" e priva di adeguate garanzie per law sicurezza dei pazienti.

In questo contesto, ecco l’intervento del Prof. Foad Aodi, presidente AMSI, presidente Umem (Unione Medica Euromediterranea), presidente Movimento Uniti per Unire, nonché medico, giornalista internazionale ed esperto in salute globale, Direttore dell’AISC, Agenzia Mondiale Britannica Informazione Senza Confini, membro del Registro Esperti FNOMCEO e 4 volte consigliere dell'OMCeO di Roma e docente dell’Università di Tor Vergata.). 

Aodi sottolinea la necessità di un approccio equilibrato: riconoscere il valore dei professionisti già presenti in Italia, ma al tempo stesso adottare procedure rigorose di verifica delle competenze e dei titoli, per trasformare un provvedimento emergenziale in una strategia strutturale di integrazione.

Aodi: «Il Veneto apre una strada, ma servono garanzie e rispetto per chi è già in Italia»

«Da un lato – afferma Foad Aodi, presidente di AMSI, l’Associazione dei medici di origine straniera in Italia – la decisione del Veneto apre per la prima volta un percorso di inserimento per professionisti stranieri già presenti sul territorio, anche senza riconoscimento formale dei titoli. Un segnale importante che, se gestito correttamente, può rappresentare una svolta. Ma attenzione: servono criteri rigorosi e rispetto per le competenze reali».

Aodi evidenzia che non tutti i percorsi di specializzazione esteri sono sovrapponibili a quelli italiani: «La pediatria in Ucraina dura due anni, la chirurgia plastica in Brasile tre. Le differenze nei percorsi formativi sono sostanziali e vanno verificate caso per caso. La legge è generale, ma ogni singola storia professionale merita un’analisi approfondita».

In Italia sono già presenti migliaia di medici stranieri specializzati all’estero ma non ancora riconosciuti: «Si tratta di professionisti formati nella seconda, terza e quarta fase migratoria – prosegue Aodi – Paesi dell’Est, Nord Africa, Medio Oriente. Molti di loro lavorano da anni nei reparti più critici, ma sono fermi a causa della burocrazia».

La proposta: valorizzare chi ha esperienza concreta

Aodi rilancia una proposta concreta: «Tra i nostri iscritti ci sono centinaia di medici italiani e di origine straniera che hanno maturato oltre cinque anni di esperienza nella stessa branca specialistica, pur senza una specializzazione universitaria. È una risorsa che può essere valorizzata se documentata e verificata dai direttori sanitari e generali delle strutture dove hanno lavorato. In molti paesi – dall’America Latina all’Asia – l’esperienza clinica vale quanto un titolo».

Secondo Aodi, per affrontare la grave carenza di specialisti, soprattutto nei pronto soccorso e nei reparti ad alta intensità, occorre guardare alle competenze realmente acquisite: «L’esperienza conta, e va affiancata a percorsi seri di verifica dei titoli e della lingua. Bisogna distinguere tra improvvisazione e reale integrazione professionale. La cura del paziente deve restare al centro».

I rapporti con gli ordini: «Servono dialogo e coraggio»

Aodi critica la reazione negativa di sindacati e ordini: «Ogni volta che si propone un’apertura ai medici stranieri, si alzano barricate. Invece non abbiamo mai sentito una proposta costruttiva. Solo la Federazione nazionale degli infermieri e quella dei podologi hanno avviato un dialogo aperto con noi per valorizzare le competenze e affrontare insieme le criticità: lingua, iscrizione, formazione continua». 

Infine, un richiamo al passato: «Fino a pochi anni fa – ricorda Aodi – AMSI dialogava direttamente con gli ordini professionali, con un clima di apertura e rispetto. Oggi sembra che ogni proposta venga respinta in blocco. Ma il problema non è solo la scarsità di specialisti: è la mancanza di volontà politica di risolverlo in modo strutturale.Non si tratta di scegliere tra italiani e stranieri, ma di costruire una sanità che integri chi è già qui, con competenza e trasparenza». 

Regioni con maggiore carenza di specialisti

Al sud e in molte regioni del Centro-Nord il sistema sanitario è sull’orlo del collasso per la mancanza di medici specialisti. In Calabria circa il 28% dei medici attivi raggiungerà l’età pensionabile nei prossimi anni, senza ricambio adeguato. La Liguria è tra le regioni più vulnerabili, con una delle percentuali più alte di medici over 55 e una formazione specialistica che non riesce a compensare l’esodo generazionale. Anche il Veneto e la Lombardia vedono vuoti rilevanti: fino al 25–30% dei posti vacanti in discipline come emergenza-urgenza e anestesia. In diverse regioni del Sud (escluse solo Puglia e Sicilia) le falle arrivano a superare la media nazionale, rendendo urgente una programmazione mirata.

Regioni con maggiore presenza di specialisti stranieri

Le regioni con la maggiore presenza di specialisti stranieri coincidono in gran parte con quelle a più alta concentrazione di popolazione straniera residente. La Lombardia si distingue nettamente, ospitando la quota più elevata del totale nazionale: oltre il 12% degli specialisti stranieri in Italia lavora nelle strutture lombarde. Seguono Emilia-Romagna, Veneto e Lazio, dove la presenza straniera è superiore al 10-13% e diventa cruciale nei reparti più colpiti dalla carenza italiana. In particolare, nelle grandi città come Milano e Roma gli specialisti stranieri rappresentano una componente essenziale nella copertura delle branche critiche.

Aodi: "Semplificare, aprire i concorsi e trattenere chi già lavora qui e facilitare ingresso di nuove leve. No a discriminazioni e pregiudizi"

«Non possiamo più permetterci un sistema che da un lato soffre la carenza di specialisti italiani e dall’altro tiene in panchina quelli stranieri che già lavorano nei nostri ospedali – dichiara il presidente AMSI – che potrebbero rappresentare, con le loro competenze, una soluzione importare per i nostri deficit. Serve eliminare l’obbligo di cittadinanza nei concorsi, velocizzare il riconoscimento dei titoli, e dare accesso prioritario ai concorsi a chi opera in Italia da almeno 5 anni. Così potremo trattenere chi già lavora con noi e attrarre nuove competenze. Altrimenti, con le offerte che arrivano da Germania, Regno Unito, Belgio, Olanda e Paesi del Golfo, rischiamo di perdere anche chi è già qui».

Proposte AMSI

• Abolire l’obbligo di cittadinanza nei concorsi pubblici

• Riconoscimento rapido dei titoli esteri

• Accesso prioritario ai concorsi per chi lavora in Italia da almeno 5 anni

• Contratti pubblici stabili e incentivi economici per trattenere i professionisti stranieri

• Coordinamento nazionale per un censimento dei fabbisogno dei specialisti e professionisti della sanità in Italia e quali specialisti e sanitari in particolare. 

Per completare le informazioni, abbiamo indicato il numero degli specialisti con titolo conseguito in Italia e quello con titolo ottenuto all’estero: rispettivamente 10 mila e 14 mila professionisti.

Per quanto riguarda le fasi migratorie, la maggioranza degli specialisti in Italia proviene dalla prima fase, caratterizzata dall’arrivo di studenti stranieri. Le altre quote si distribuiscono tra:

• la seconda fase, dopo la caduta del Muro di Berlino, con l’arrivo di professionisti dai Paesi dell’Est;

• la terza fase, legata alla Primavera Araba;

• la quarta fase, avviata durante la pandemia.

In merito alla collaborazione istituzionale, ricordiamo il periodo delle presidenze Melidandri e Del Barone all’interno della FNOMCeO e ordini dei medici, con cui, per la prima volta in Italia, abbiamo avviato un dialogo strutturato per i medici e i professionisti della sanità di origine straniera. In quell’occasione è stata istituita una collaborazione proficua, che auspichiamo possa essere ripresa anche dagli attuali esponenti, anziché chiudere la porta all’AMSI e al suo consiglio direttivo. Non siamo solo numeri o usa e getta. 

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