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Pensione medici dipendenti, uscire prima dei 67 anni non conviene

Previdenza Redazione DottNet | 02/10/2025 18:30

Molti cercano di uscire al più presto dal rapporto di dipendenza per sfruttare da liberi professionisti le competenze acquisite o semplicemente riappropriarsi della propria vita o dei propri spazi

Si è parlato molto della possibilità per i medici ospedalieri di prolungare l’attività lavorativa fino a 70 anni con una semplice richiesta e fino a 72 anni con il consenso della struttura di riferimento. Ma sono sempre molti quelli che ragionano esattamente al contrario: uscire al più presto dal rapporto di dipendenza per sfruttare da liberi professionisti le competenze acquisite o semplicemente riappropriarsi della propria vita o dei propri spazi. Si tratta quindi di accedere alla pensione anticipata (generalmente con 42 anni e 10 mesi di contributi, 1 anno in meno per le donne, o con diversi altri strumenti di favore (opzione donna, APE sociale, Quota 103, e altri canali).

Ma questo pranzo non è gratis: lo ricorda l’Inps con il Messaggio n. 2491 del 25 agosto 2025, facendo presente che per tutti coloro che hanno anzianità contributive fino al 31 dicembre 1995, il conteggio della quota di pensione relativa a tali periodi si effettua in modo diverso a seconda che si vada in pensione anticipata oppure di vecchiaia (attualmente a 67 anni).

 Infatti, ai sensi dell’articolo 1, commi da 157 a 159, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (la Legge di Bilancio 2024), le quote di pensione liquidate con il sistema retributivo e riferite ad anzianità inferiori a 15 anni al 31 dicembre 1995, per gli iscritti alla Cassa per le pensioni ai sanitari (CPS) e ad altre casse poi confluite nell’Inpdap, successivamente assorbito dall’Inps, sono calcolate con le aliquote di rendimento di cui all’Allegato II della medesima Legge di Bilancio 2024, molto meno favorevole della precedente tabella di calcolo (con riduzioni sensibili degli importi di competenza).

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Fino al 31 dicembre 2024, il mantenimento delle vecchie aliquote di rendimento era possibile in tre ipotesi diverse: 

    • Raggiungimento dell’età di vecchiaia (67 anni);
    • Raggiungimento del limite ordinamentale di età della pubblica amministrazione (65 anni) e collocamento in pensione d’ufficio da parte della struttura, a patto che si fossero raggiunti i requisiti per la pensione anticipata;
    • Raggiungimento di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2023.

Che cosa succedeva di fatto? Se un medico pubblico aveva compiuto 65 anni ed aveva 42 anni e 10 mesi di contributi, si rivolgeva non ufficialmente alla sua amministrazione per farsi da questa pensionare d’ufficio senza domanda, per non perdere i benefici di calcolo della vecchia tabella. Ma l’art. 1, commi 162 e seguenti della legge n. 207/2024 dal 1° gennaio 2025 ha innalzato da 65 a 67 anni i limiti ordinamentali di età per i dipendenti pubblici, eliminando per gli ultrasessantacinquenni con i requisiti per la pensione anticipata la possibilità di essere collocati in pensione d’ufficio. Quindi, dice l’Inps nel suo messaggio, il canale di favore di cui al precedente punto 2. non esiste più, e per vedersi applicata la vecchia tabella (salvo il conseguimento di un diritto entro il 2023) occorre andare in pensione dopo aver compiuto 67 anni.

L’Inps precisa anche che, se il medico ha richiesto il trattenimento in servizio fino a 70 anni, ma poi si dimette prima di quella data, avendo già compiuto 67 anni, gli si applicherà la tabella più favorevole, perché la sua pensione rimane comunque di vecchiaia. Gli stessi principi valgono pure per le pensioni di vecchiaia in cumulo, anche nei casi di pregressa cessazione dal rapporto di dipendenza pubblica e passaggio a forme di dipendenza privata; e per la pensione di vecchiaia che si matura al termine della fruizione dell’APE sociale. Per i lavoratori precoci la vecchia tabella si applica nel caso in cui abbiano maturato, a prescindere dall’effettiva cessazione, 41 anni di contributi entro il 31 dicembre 2023.

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