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Infarto, la cura con le staminali riduce il rischio d'insufficienza cardiaca

Cardiologia Redazione DottNet | 30/10/2025 09:31

Dopo 6 mesi miglioramento significativamente maggiore

La terapia con cellule staminali è collegata a un minor rischio di insufficienza cardiaca e di conseguenti ricoveri ospedalieri rispetto alle cure standard dopo un infarto: lo rivela uno studio clinico pubblicato sul British Medical Journal condotto all'Università di Shiraz in Iran. Secondo i ricercatori questa tecnica potrebbe rappresentare una preziosa procedura aggiuntiva per i pazienti dopo un infarto, per prevenire una successiva insufficienza cardiaca e ridurre il rischio di futuri eventi avversi.   I ricercatori hanno valutato l'impatto dell'infusione diretta di cellule staminali nelle arterie coronarie (i vasi che ossigenano il cuore) dopo un infarto sullo sviluppo di insufficienza cardiaca nell'arco di tre anni.

 Hanno coinvolto 396 pazienti (età media 57-59 anni) senza precedenti patologie cardiache presso tre ospedali universitari in Iran. Tutti avevano avuto un primo infarto che aveva causato un danno esteso al muscolo cardiaco e un indebolimento della funzionalità del cuore, caratterizzato da un ventricolo sinistro troppo debole per pompare il sangue in tutto il corpo con la stessa efficacia di prima.

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Di questi, 136 pazienti hanno ricevuto un'infusione intracoronarica di cellule staminali mesenchimali entro 3-7 giorni dall'infarto, in aggiunta alle cure standard. I restanti 260 pazienti del gruppo di controllo hanno ricevuto solo le cure standard. I pazienti sono stati monitorati per una media di 33 mesi.   Ebbene, è emerso che, rispetto al gruppo di controllo, l'infusione di cellule staminali porta a una riduzione dei tassi di insufficienza cardiaca (2,77 contro 6,48 per 100 individui), di nuovi ricoveri in ospedale per insufficienza cardiaca (0,92 contro 4,20 per 100 individui) e di una misura combinata di morte per cause cardiovascolari e nuovi ricoveri per infarto o insufficienza cardiaca (2,8 contro 7,16 per 100 persone).   Dopo sei mesi, la funzionalità cardiaca nel gruppo di intervento ha mostrato un miglioramento significativamente maggiore rispetto a subito dopo l'infarto, a differenza del gruppo di controllo.
  

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