La somministrazione del vaccino Tat a pazienti in terapia antiretrovirale (Cart) si è rivelata capace di ridurre drasticamente il 'serbatoio di virus latente' inattaccabile dalla sola Cart
Un' arma made in Italy per attaccare i virus Hiv 'survivor' nell' organismo, quelli cioè invulnerabili alla sola terapia antiretrovirale. Un follow-up durato 8 anni mostra i risultati ottenuti con il vaccino Tat contro l' Hiv, messo a punto dall' équipe guidata da Barbara Ensoli, direttore del Centro nazionale per la ricerca su Hiv/Aids dell' Istituto superiore di sanità (Iss). Pubblicato su 'Frontiers in Immunology', lo studio condotto in 8 centri clinici del Belpaese evidenzia che la somministrazione del vaccino Tat a pazienti in terapia antiretrovirale (Cart) si è rivelata capace di ridurre drasticamente il 'serbatoio di virus latente' inattaccabile dalla sola Cart. "Si tratta di risultati che aprono nuove prospettive per una cura 'funzionale' dell' Hiv, ossia una terapia in grado di controllare il virus anche dopo sospensione dei farmaci antiretrovirali", afferma Ensoli.
"In tal modo - prospetta la scienziata - si profilano opportunità preziose per la gestione clinica a lungo termine delle persone con Hiv, riducendo la tossicità associata ai farmaci, migliorando l' aderenza alla terapia e la qualità di vita, problemi di grande rilevanza soprattutto in bambini e adolescenti, con l' obiettivo, in prospettiva, di giungere all' eradicazione del virus".
I centri coinvolti sono San Raffaele di Milano, Luigi Sacco di Milano, San Gerardo di Monza, ospedale universitario di Ferrara, Policlinico di Modena, ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze, Istituto San Gallicano - Istituti fisioterapici ospitalieri di Roma, Policlinico universitario di Bari. Gli autori riportano che i volontari trattati con Cart e vaccinati con la proteina Tat hanno mostrato un forte calo del Dna provirale nel sangue, avvenuto con una velocità in media 4-7 volte maggiore di quella osservata in studi analoghi su pazienti trattati solo con Cart. Nei volontari vaccinati, inoltre, la riduzione del serbatoio di virus latente si è associata a un aumento delle cellule T Cd4+ e del rapporto delle cellule T Cd4+/Cd8+. Tali caratteristiche vengono riscontrate anche in rari pazienti denominati 'post-treatment controllers', in grado di controllare spontaneamente la riattivazione della replicazione virale dopo aver sospeso la terapia. Queste persone hanno infatti un serbatoio di virus latente di dimensioni assai ridotte e mostrano un buon recupero del sistema immune
"E' concepibile - sottolinea Ensoli - che la vaccinazione con Tat possa conferire ai pazienti la capacità di divenire 'post-treatment controllers', cioè di controllare il virus senza assunzione di farmaci per periodi di tempo la cui durata dovrà essere valutata con specifici studi clinici. Pertanto, i risultati aprono la strada a studi di interruzione programmata e controllata della terapia nei volontari in trattamento con Cart vaccinati con Tat, attualmente in corso di pianificazione proprio allo scopo di verificare questa ipotesi". Oggi 40 milioni di persone nel mondo convivono con l' infezione, di cui metà senza terapia. Quasi 40 anni dopo la scoperta del virus, l' Hiv/Aids rimane un' emergenza globale, ricordano gli esperti secondo cui per la cura sono necessari ancora "molti sforzi, ingenti investimenti e strategie innovative per l' eradicazione del virus".
A essere colpite soprattutto le fasce più povere e fragili della popolazione, in particolare donne e bambini, omosessuali, bisessuali e transgender, lavoratori del sesso, popolazioni migranti, utilizzatori di sostanze iniettabili. I risultati del vaccino Tat, si legge nella nota Iss, sono un passo avanti nella ricerca di una cura funzionale dell' Hiv "che, insieme alla prevenzione dell' infezione, è assoluta priorità della comunità scientifica internazionale", anche per le vaste risorse che sottrae. Uno studio del 2018 ha stimato in 563 miliardi di dollari il costo della lotta contro l' Hiv tra il 2000 e il 2015, equivalenti a un contributo pro-capite di 100 dollari nei Paesi in via di sviluppo e 5 mila in Europa e Nord America (330 dollari/anno). Altri studi hanno stimato tra -0,5 e -2,6% per anno l' impatto negativo sul Pil nei Paesi africani, con una perdita di circa 30-150 miliardi di dollari l' anno. "Cifre enormi - conclude l' Iss - che impongono urgenti e innovative soluzioni terapeutiche"
L'intervista
Diciotto milioni di euro per arrivare al traguardo: è il finanziamento necessario per proseguire la sperimentazione del vaccino italiano Tat contro l'AIDS/HIV, che ha dimostrato di poter aprire una nuova strada per il controllo dell'infezione. A lanciare un Sos per la ricerca dei fondi, al momento mancanti, è Barbara Ensoli, direttore del Centro Ricerca Aids dell'Istituto Superiore di Sanità e 'mamma' del vaccino Tat: "Senza questa cifra - afferma in un'intervista all'ANSA - saremo costretti a fermarci nonostante i grandi risultati già raggiunti, che rappresentano una reale speranza per i malati".
Il vaccino infatti, spiega, "mira a rendere gestibile la malattia liberando il malato dall'obbligo di prendere a vita i farmaci antiretrovirali che controllano l'infezione. Ciò aumenterebbe in modo significativo la qualità di vita dei pazienti ma porterebbe anche ad un risparmio enorme per i Servizi sanitari, soprattutto dei paesi più poveri, in termini di ricoveri e complicanze evitati oltre che di evitata spesa per i farmaci". Un traguardo che ora è molto più vicino: gli studi sul Tat sono iniziati nel 1995 ed oggi si è arrivati ad una fase importante. Il prossimo step, chiarisce Ensoli, "è proprio interrompere la terapia nei malati in modo controllato per 6 mesi per verificare per quanto tempo il vaccino mantiene bassa la carica virale nel sangue, ovvero ad un livello che non ha conseguenze cliniche. Vogliamo quindi avviare uno studio pilota su 30 pazienti vaccinati e 30 soggetti di controllo, sempre negli 8 centri italiani impegnati per il vaccino. Se tutto andrà bene, si avvierà poi la fase ultima di sperimentazione, la tre, su un numero più ampio di malati, probabilmente in Africa".
Perchè il vaccino sia dunque disponibile sul mercato sarà necessario ancora qualche anno, ma senza i fondi necessari c'è il rischio concreto che tutto si blocchi: "Il problema è che in Italia non ci sono più finanziamenti alla Ricerca sull'Aids perchè si pensa che il problema sia risolto, ma non è così. Le nuove infezioni, infatti, non si sono ridotte, non ci sono campagna informative ed i pazienti giungono dai medici sempre più tardivamente e già con Aids conclamato". Per questo, Ensoli lancia un appello: "Mi rivolgo al governo, alle istituzioni europee ma anche alle aziende farmaceutiche e alle aziende di capitali di investimento perchè rinnovino l'interesse verso la Ricerca sull'Aids e finanzino il nostro studio. Fino ad oggi il finanziamento pubblico totale per la sperimentazione clinica del vaccino è stato pari a 26 mln di euro, ma ora servono con urgenza 3 mln per avviare il trial di interruzione delle terapia e un finanziamento successivo di 15 mln per la fase tre". Un sogno, quello di arrivare al traguardo del vaccino Tat, che Ensoli vuole assolutamente realizzare: "Ho iniziato a lavorarci con la mia equipe quando avevo 24 anni, nel 1995. Spero di vedere il vaccino disponibile per i malati prima di concludere la mia carriera. Il vaccino è stato, in un certo senso, la mia vita - racconta - e siamo andati avanti anche nei momenti critici e di mancanza di fondi. Oggi mi invitano ai congressi mondiali per parlarne e questo è un enorme risultato per la Ricerca italiana. Ma io non vado, per un problema di costi".
I soldi e "tutti i fondi disponibili - afferma - preferisco impiegarli per continuare a lavorare sul vaccino. Sa quanti reagenti essenziali per i test si possono acquistare con la cifra necessaria per partecipare ad un congresso all'estro? Tanti - conclude la ricercatrice - anche se la conseguenza è far calare l'ombra sui risultati della nostra Ricerca"
Allarme giovani
I nuovi casi di infezione da virus Hiv sono praticamente stabili in Italia e in Europa, ma tra i più giovani calano troppo lentamente anche a causa di una preoccupante sottovalutazione dei rischi. A segnalarlo sono gli ultimi dati del Centro Operativo Aids dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) e l'Unicef. Secondo i dati dell'Iss, nel 2017 in Italia sono state segnalate 3.443 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti, un dato in linea con la media europea. L'incidenza delle nuove diagnosi di Hiv mostra una leggera diminuzione tra il 2012 e il 2015, con un andamento pressoché stabile dopo il 2015.
Nel 2017 l'incidenza maggiore di infezione da Hiv è nella fascia di età 25-29 anni. La modalità di trasmissione principale tra le nuove diagnosi è con i rapporti eterosessuali. Nel 2017, tra le Regioni con un numero superiore a un milione e mezzo di abitanti, le incidenze più alte sono state registrate in Lazio, Liguria e Toscana. Circa i casi di Aids, l'osservatorio ne ha censiti 690, pari a 1,1 nuovi casi per 100.000 residenti, in lieve diminuzione negli ultimi anni. Ma a preoccupare sono i giovani. Attualmente nel mondo 3 milioni di bambini e adolescenti sono sieropositivi, e ogni giorno quasi 700 adolescenti tra i 10 e 19 anni diventano sieropositivi. Anche se entro il 2030 il numero di nuovi contagi da Hiv tra i bambini sotto i 10 anni sarà dimezzato, quello tra gli adolescenti calerà solo del 29%. Progressi troppo lenti per l'Unicef, secondo cui da qui al 2030, circa 360.000 adolescenti moriranno per malattie collegate all'Aids, in assenza di investimenti nei programmi di prevenzione, diagnosi e cura dell'Hiv.
Una situazione su cui incide anche una percezione del rischio da Hiv ancora molto confusa, una scarsa propensione a ricorrere al test e un mancato uso del profilattico, che tra i giovanissimi può superare il 50%, come segnala la Lega italiana per la lotta contro l'aids (Lila). Dalle richieste arrivate alla loro helpline, hanno rilevato domande e timori legati soprattutto al mancato uso o alla rottura del profilattico. Per quanto riguarda invece la richiesta di informazioni tra gli adulti, il Telefono Verde Aids dell'Iss segnala un calo importante di telefonate da parte delle donne, scese dal 35% nel 1987 al 13% nel 2017.
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