Il 93% dei dipendenti ha riferito stress legato a frequenti episodi di violenza
'Prevenzione e gestione degli atti di violenza nei confronti degli operatori sanitari' è il titolo della prima edizione del corso di formazione organizzato dalla Asl Roma 2 all' ospedale Sant' Eugenio, patrocinato dall' Ordine dei Medici e dall' Ordine delle Professioni Infermieristiche di Roma e coordinato dalla dottoressa Marina Cannavo', dirigente medico psichiatra della Formazione della Asl Roma 2. Le giornate formative, che proseguiranno venerdì 14 maggio e mercoledì 22 maggio, sono state volute da Flori Degrassi, direttore generale della Asl Roma 2, in collaborazione con Sabrina Santi, direttore della Formazione della Asl Roma 2. Quello dell' aggressione ai medici e agli operatori sanitari, intanto, è tema ancora al centro delle cronache e lascia strascichi psicologici e psichiatrici notevoli come stress, disturbo post-traumatico da stress, disturbi d' ansia e forme depressive medio-gravi.
Ma l' elemento nuovo emerso da uno studio condotto dalla dottoressa Cannavo' sulla totalità degli operatori, sia del Dea sia del reparto Psichiatrico di diagnosi e cura del Policlinico Umberto I, ha messo in evidenza che addirittura il 93% dei dipendenti ha riferito stress legato a frequenti episodi di violenza .
Poiché la violenza è ormai considerata il più importante fattore di rischio specifico di stress lavoro, bisognerebbe intervenire sui primi segnali di stress dell' operatore sanitario e non intervenire soltanto quando le vittime hanno subito episodi di violenza, proprio per prevenire ed evitare gravi conseguenze psichiatriche. Per violenza nei luoghi di lavoro non si intende solo la grave lesione fisica, ma soprattutto i maltrattamenti verbali, che sono, sempre secondo quanto emerso, la forma più frequente di violenza psicologica e che si consumano quotidianamente ormai in tutte le strutture sanitarie. Bisognerebbe per questo agire su più fronti, compreso quello della comunicazione, per capire cosa porta al gap che si crea tra i medici e operatori sanitari e i pazienti e i familiari che sentono negati i propri diritti, disattese le loro aspettative e che agiscono in modo 'violento' con il malcapitato di turno. Al riguardo, bisognerebbe fare anche delle indagini, chiedendo direttamente ai cittadini quali siano le loro aspettative.
Il problema della violenza ai danni degli esercenti le professioni sanitarie è così sentito che, su proposta del ministro della Salute, Giulia Grillo, è all' esame del Senato un ddl antiviolenza per proteggere le professioni sanitarie. Il provvedimento prevede un' integrazione dell' articolo 61 del codice penale ('Circostanze aggravanti comuni') che disciplina le circostanze aggravanti nei confronti di chi commette reati con violenza o minacce in danno degli operatori sanitari nell' esercizio delle loro funzioni. Tuttavia, quel che è certo è che la violenza non può essere solamente considerata come un problema di sicurezza nei luoghi di lavoro o come un reato da perseguire penalmente. L' obiettivo primario, secondo quanto detto durante l' incontro, dovrebbe essere proprio la tutela del benessere degli operatori sanitari, intesa sia come miglioramento della soddisfazione lavorativa sia della loro salute. Per questo si deve agire sulla prevenzione dello stress, per evitare conseguenze mediche importanti, come l' ipertensione e le malattie cardiache, e le patologie psichiatriche gravi come il disturbo posttraumatico da stress, i disturbi d' ansia e i disturbi depressivi.
Ma la Corte rileva che il rifiuto del dipendente ad adempiere una disposizione di servizio è legittimo se conforme a buona fede, valutando le circostanze del caso concreto
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