La situazione è destinata a peggiorare nel futuro in quanto in questo clima di precarietà e di incertezza si rischia di non avere più medici disponibili
"Serve rapida chiusura di un accordo collettivo nazionale in assenza del quale saremo costretti ad azioni di protesta che potrebbero giungere alla minaccia della sospensione del servizio nelle carceri". Lo chiedono il coordinatore nazionale Fimmg settore medicina penitenziaria Franco Alberti e il responsabile nazionale Snami, settore medicina penitenziaria Pasquale Del Greco, ricordando che "a distanza di 12 anni dal passaggio dall' amministrazione penitenziaria al Ssn, i medici che lavorano in carcere stanno ancora aspettando un contratto di lavoro".
Sul territorio nazionale, raccontano, "esiste una situazione a macchia di leopardo, dove molte regioni sfruttando l' assenza di una normativa nazionale e del ruolo specifico di medico penitenziario applicano le regole più disparate costringendoli a un lavoro sottopagato, in un ambiente a rischio (ormai non si contano più le aggressioni e le minacce) e senza alcuna formazione specifica in merito, utilizzando impropriamente medici destinati ad altri servizi (formati per medicina di continuità assistenziale, 118, medicina dei servizi, ecc), chiedendo loro di svolgere funzioni e compiti non previsti negli accordi contrattuali, confidando sulla loro necessità di lavorare e che per difficoltà oggettive non hanno altre alternative (posti in specializzazione e borse di studio per MMG insufficienti negando anche la possibilità di frequentare il corso senza borsa di studio)".
"Le sigle sindacali visto che i percorsi finora seguiti non hanno dato nessun esito fanno presente che qualora in tempi brevi non giungano risposte alla richiesta più volte avanzata di un accordo che salvaguardi la dignità e che tuteli chi tutti giorni, con mille difficoltà opera in un ambiente ostile, studierà azioni di protesta idonee fino a giungere alla sospensione del servizio".
Ma la Corte rileva che il rifiuto del dipendente ad adempiere una disposizione di servizio è legittimo se conforme a buona fede, valutando le circostanze del caso concreto
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