Il Ruanda chiude confini con il Congo: riaperti dopo alcune ore
A un anno dallo scoppio dell'epidemia in Congo, l'emergenza Ebola preoccupa sempre più i Paesi confinanti, tanto che il Ruanda ha chiuso oggi i confini per poi riaprili dopo alcune ore. La decisione era stata "presa unilateralmente", come ha sottolineato il Governo di Kinshasa, dopo l'annuncio di un terzo caso registrato a Goma, metropoli di 2 milioni di persone e dotata di aeroporto internazionale, al confine tra i due Stati. Mentre Medici senza frontiere denuncia: "la risposta internazionale non è ancora riuscita a contenere l'epidemia, nonostante la disponibilità di vaccini e terapie che nelle epidemie precedenti non c'erano o erano molto limitati".
Dichiarata pochi giorni fa Emergenza Internazionale di Salute Pubblica, l'epidemia di Ebola in Congo, dal primo agosto del 2018 a oggi ha fatto registrare quasi 2700 casi, di cui 1803 deceduti, un terzo dei quali bimbi.
"Passano in media sei giorni - prosegue Lodesani - da quando si manifestano i primi sintomi a quando un paziente viene ammesso in un centro di trattamento, un periodo durante il quale può contagiare altre persone". Come è accaduto al secondo paziente con Ebola della città di Goma, deceduto ieri ma arrivato in ospedale dopo aver trascorso giorni con la malattia conclamata in casa propria, dove ha contagiato la figlioletta di un anno. E' lei, riporta il ministro della Salute congolese, "il terzo caso registrato a Goma, e il primo in cui il contagio è avvenuto all'interno della città". Ma "all'interno della famiglia potrebbero esservene altri". Un dato preoccupante, perché in una metropoli aumentano anche le occasioni di contatto. Questo, conclude Msf, mostra che "l'approccio complessivo contro l'Ebola deve essere rivisto e migliorato", andando incontro alle esigenze della popolazione e ampliando l'accesso ai vaccini. Senza dimenticare il ruolo della collaborazione internazionale.
"L'epidemia di Ebola in Africa Occidentale, che fece 11.000 vittime tra il 2014 e il 2016 - commenta Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani - ha visto in prima fila i nostri virologi e medici nei paesi colpiti e con la gestione dei due pazienti italiani che contrassero la malattia nelle aree di contagio e furono curati nel nostro ospedale a Roma". L'esperienza maturata, prosegue, "costituisce un prezioso patrimonio, per cui possiamo senz'altro dire di esser pronti per affrontare questa emergenza, qualora si dovessero verificare dei casi anche nel nostro Paese".
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