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Riscatto laurea e ricongiunzioni: adesso convengono

Previdenza Redazione DottNet | 22/02/2021 21:17

L'inflazione sotto zero ha annullato i costi di rateazione

Con l’inflazione sotto zero (per la precisione – 0,3% nel 2020), oltre alla brutta notizia della mancata rivalutazione delle pensioni (solo quelle integrate al minimo recuperano un + 0,1% dal tasso definitivo registrato nel 2019), arriva qualche buona notizia per quanti debbono pagare contribuzione previdenziale.  Per il riscatto degli anni di laurea presso l’Inps una legge del 2008 ha già stabilito che non si applicano interessi di dilazione in caso di pagamento rateale; nel caso dell’Enpam, in caso di rateazione, gli interessi sono calcolati secondo il tasso legale pro tempore vigente; e oggi questo tasso è pari allo 0,01%, cioè praticamente nullo. Quindi in entrambi gli enti previdenziali pagare a rate costa sostanzialmente lo stesso che versare il capitale in unica soluzione.

Con riferimento alla ricongiunzione contributiva, l’Inps ha recentemente emesso una circolare (la n. 26 del 16 febbraio 2021), nella quale si sottolinea che gli oneri di ricongiunzione relativi a domande presentate nel corso del corrente anno 2021, in applicazione dell’articolo 2, comma 3, della legge 5 marzo 1990, n. 45, e tenuto conto della variazione negativa dell’indice dei prezzi al consumo per il 2020, possono essere versati ratealmente senza applicazione di interessi per la rateizzazione. Questo principio vale ovviamente sia che la domanda venga presentata all’Inps, sia che venga prodotta nei confronti dell’Enpam.

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E’ il caso di ricordare che per il riscatto di laurea all’Inps è previsto il pagamento in rate mensili , per un massimo di 10 anni; all’Enpam, invece, il riscatto, in rate semestrali, può essere rateizzato al massimo in una volta e mezzo il periodo richiesto (6 anni di laurea si possono pagare in un massimo di 9 anni, cioè in 18 rate semestrali). La rateazione per entrambi gli Enti non può superare la data di decorrenza della pensione, per cui eventuali residui vanno saldati in unica soluzione prima del pensionamento. Nel caso della ricongiunzione, invece, la legge 45/1990 prevede che il numero delle rate mensili non possa essere superiore alla metà dei mesi relativi ai contributi ricongiunti (quindi, ad esempio, ricongiungendo 12 anni di contributi, la rateazione non può superare i 6 anni). Inoltre, l’onere di ricongiunzione può essere rateizzato anche dopo la decorrenza della pensione, mediante trattenute sulla pensione stessa.

Con l’ingresso degli istituti della totalizzazione e del cumulo gratuito, la ricongiunzione è molto meno utilizzata, ma non è totalmente scomparsa, nonostante la possibilità che, a differenza degli altri istituti, venga richiesto il pagamento di una differenza (peraltro fiscalmente deducibile). Questo soprattutto perché si tratta di un istituto abbastanza flessibile, ideale per portare nel fondo principale piccoli periodi contributivi, magari svolti all’inizio della vita professionale, che altrimenti potrebbero andare totalmente perduti. E non di rado l’accentramento in un’unica posizione può portare ulteriori benefici in termini di anticipo del conseguimento dei requisiti per la pensione di anzianità, ovvero ai fini del calcolo del trattamento (si pensi ad esempio al raggiungimento dei 18 anni di contribuzione Inps al 1995, che fanno scattare il diritto al sistema retributivo sino al 2011 compreso).

Il vantaggio della ricongiunzione rispetto al cumulo resta quindi apprezzabile se si trasferiscono generalmente non più di cinque anni di servizio; per periodi più lunghi di solito il costo più sensibile dell’operazione (che se fatta per tempo può comunque rivelarsi anch’essa gratuita) fa pendere l’ago della bilancia in favore del cumulo.

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