La decisione della Corte arriva dopo il reclamo proposto da un 43enne marchigiano tetraplegico, immobilizzato da dieci anni per un incidente stradale e in condizioni irreversibili
Sul fine vita arriva dalle Marche una decisione che può contribuire a cambiare le regole e a fare giurisprudenza. Il Tribunale Civile di Ancona ha stabilito che l'azienda sanitaria deve verificare le condizioni di un paziente per l'accesso al suicidio assistito, in 'attuazione' della "sentenza Cappato" della Corte costituzionale. La decisione della Corte, fa sapere l'Associazione Luca Coscioni, arriva dopo il reclamo proposto da un 43enne marchigiano tetraplegico, immobilizzato da dieci anni per un incidente stradale e in condizioni irreversibili. In precedenza il 43enne - assistito dai legali del collegio di giuristi per la libertà - si era visto negare dall'azienda sanitaria (anche per la verifica delle condizioni) e dal giudice, l'istanza di suicidio assistito. Il provvedimento del collegio ha "ribaltato" il precedente, commenta l'Associazione Luca Coscioni.
La prima richiesta all'azienda sanitaria da parte di Mario (nome di fantasia) risaliva all'agosto 2020. Dopo il diniego dell'Azienda sanitaria al suicidio assistito, c'era stata l'istanza al tribunale che il 26 marzo scorso aveva in sostanza legittimato la posizione della struttura pubblica. Pur riconoscendo al paziente "i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242/19 sul 'Caso Cappato/Dj Fabo'" aveva ritenuto la "non sussistenza di motivi per ritenere che,individuando le ipotesi in cui l'aiuto al suicidio può oggi ritenersi lecito, la Corte abbia fondato anche il diritto del paziente, ove ricorrano tali ipotesi, ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell'attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza...".
Era seguito il reclamo. Il collegio del tribunale civile di Ancona ora "ordina all'Azienda sanitaria unica regionale Marche di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare: se il reclamante sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili"; "se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; "se le modalità, la metodica e il farmaco (Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi) prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile (rispetto all'alternativa del rifiuto delle cure con sedazione profonda continuativa, e ad ogni altra soluzione in concreto praticabile, compresa la somministrazione di un farmaco diverso)". Dunque, scrive l'Associazione Coscioni, "i giudici confermano che Mario ha il diritto di pretendere che si effettuino gli accertamenti disposti dalla Consulta con sentenza 242/19, affinché l'aiuto che gli sarà fornito non sia reato ai sensi dell'articolo 580 del codice penale relativo al suicidio assistito". -
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