Ma non è noto se vi siano differenze nei livelli di GFAP nel sangue lungo l’intero continuum della Malattia di Alzheimer e se le sue prestazioni siano simili a quelle della GFAP nel CSF
Secondo uno studio condotto da ricercatori svedesi e pubblicato da JAMA Neurology i livelli nel sangue della proteina fibrillare acida della glia (GFAP) possano rappresentare un sensibile biomarcatore di patologia della beta-amiloide nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer e siano significativamente più attendibili dei livelli della proteina nel liquido cerebrospinale (CSF).
La GFAP è un marcatore di astrogliosi reattiva che aumenta nel CSF e nel sangue dei soggetti con Malattia di Alzheimer. Tuttavia, ancora non è noto se vi siano differenze nei livelli di GFAP nel sangue lungo l’intero continuum della Malattia di Alzheimer e se le sue prestazioni siano simili a quelle della GFAP nel CSF”, osservano nel loro articolo Kaj Blennow e colleghi dell’Università di Göteborg, autori dello studio. I ricercatori hanno valutato i livelli di GFAP nel plasma in tutto il continuum della Malattia di Alzheimer e li hanno confrontati con quelli di GFAP nel siero. I partecipanti erano 300 adulti (età media 65 anni; 177 donne) di Montreal, in Canada, arruolati nella coorte dello studio; 384 adulti (età media 61 anni; 234 donne) di Barcellona, partecipanti allo studio Alzheimer's and Families (ALFA+) e 187 adulti (età media 70 anni; 116 donne) di Parigi nella coorte BioCogBank Paris Lariboisiere.
Gli studiosi hanno riscontrato che i livelli di GFAP nel plasma erano elevati nello stadio preclinico e in quello sintomatico della Malattia di Alzheimer, con livelli superiori rispetto a quelli nel CSF. Inoltre, hanno osservato che la GFAP plasmatica era più precisa di quella presente nel CSF nella distinzione tra soggetti positivi e negativi alla beta-amiloide, anche nello stadio preclinico. "Tale risultato è particolarmente evidente per i soggetti con Malattia di Alzheimer preclinica; i livelli di GFAP nel plasma erano significativamente più elevati nei pazienti positivi alla beta-amiloide cognitivamente non compromessi (CU+), con una significativa distinzione da quelli negativi alla beta-amiloide cognitivamente non compromessi (CU-), mentre la CSF non è riuscita a effettuare questa distinzione”, concludono gli autori.
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