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Società scientifiche: spariti dall'Ssn 42mila dipendenti. Addio anche agli Mmg. E intanto avanza il privato

Sanità pubblica Redazione DottNet | 14/06/2022 16:51

Cognetti: vanno rivisti completamente i parametri organizzativi dei nosocomi sanciti con il Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015), di cui auspichiamo una profonda e radicale revisione

E' una 'emorragia' costante, in termini di personale e posti, quella che ha caratterizzato la vita degli ospedali italiani negli ultimi 10 anni: in un decennio (2010-2019) sono stati tagliati infatti 25mila posti letto e 42.380 dipendenti. E' il bilancio fatto dal Forum delle 30 società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc), che avverte: "serve un ospedale adeguato ed esteso al territorio per evitare il collasso". Il progressivo depotenziamento dell'assistenza ospedaliera del nostro Paese è nei numeri, rileva il Forum: in questi 10 anni, gli istituti di cura sono diminuiti da 1.165 a 1.054, con un taglio di circa 25mila posti letto di degenza ordinaria (da 215 mila a 190 mila).  Non solo. Il personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale è diminuito di 42.380 unità (da 646.236 a 603.856) e il definanziamento della sanità ha raggiunto i 37 miliardi. La pandemia inoltre, afferma il Forum, "ha mostrato la debolezza del sistema e l'attuale crisi dei Pronto Soccorso non è altro che il risultato di anni di tagli e la punta dell'iceberg di un sistema ospedaliero in affanno".

Concordiamo sulla necessità di potenziare la medicina del territorio - afferma Francesco Cognetti, Coordinatore del Forum -, ma riteniamo che non sia sufficiente per risolvere i problemi dell’ospedale, a partire dalle liste di attesa e dal collasso dei Pronto Soccorso: i problemi più evidenti che sono all’onore delle cronache rappresentano la parte immediatamente visibile di una sofferenza ben più ampia, che coinvolge l’intero Servizio Sanitario Nazionale e che si sta già progressivamente manifestando in tutta la sua drammaticità. A tale proposito, le soluzioni da prospettare non devono avvenire isolatamente, ma in una logica di sistema. Va superata la storica dualità fra ospedale e territorio, a favore di un unico sistema di servizi interconnesso, continuo e complementare in cui prevalga l’idea di ospedale esteso al territorio e adeguato alle necessità della popolazione, avendo ben presente la sua complessità scientifica, clinica e organizzativa".

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"Per questo vanno rivisti completamente i parametri organizzativi dei nosocomi sanciti con il Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015), di cui auspichiamo una profonda e radicale revisione. Chiediamo che l’Ospedale venga ripensato in ragione delle esigenze epidemiologiche che sono chiaramente mutate negli ultimi anni, le cui risposte necessitano di provvedimenti sia quantitativi che qualitativi. È necessario che il numero di posti letto di degenza ordinaria cresca ben oltre i 350 per 100.000 abitanti odierni fino a raggiungere almeno la media europea di 500. Anche il numero di posti letto di terapia intensiva deve superare i 14 posti letto, peraltro rimasti sulla carta e mai raggiunti, per raggiungere almeno i 25 per 100.000 abitanti”. Apprendendo dalla lezione della pandemia è necessario anche prevedere aree di terapia semi-intensiva sia nel Dipartimento Medico che nel Dipartimento d’Emergenza.

È inoltre reale il rischio che l’attivazione di strutture territoriali in assenza di adeguato personale medico comprometta il sistema delle cure primarie, definito addirittura già da una Convenzione Internazionale e svolto attraverso il medico di medicina generale con la presa in carico di tutti i cittadini davvero in prossimità della loro soglia di residenza. Le cure primarie infatti hanno nulla o poco a che fare con i Servizi Territoriali, rappresentano invece la prima occasione di contatto degli individui e delle famiglie con il Sistema Sanitario e costituiscono il primo elemento di un processo continuo di assistenza sanitaria, un settore ben definito di assistenza da preservare ed anzi da potenziare.

È in atto, inoltre, un progressivo appannaggio di prestazioni a favore del privato rispetto al pubblico che viene così depauperato – continua Cognetti -. Come ha ribadito Papa Francesco nella recente udienza con i dirigenti di ‘Federsanità’, ‘occorre confermare l’importanza del sistema di sanità pubblica e per ridurre le disuguaglianze in tema di salute occorre lavorare perché tutti abbiano accesso alle cure, il sistema sanitario pubblico sia sostenuto e promosso, e continui ad essere gratuito. Tagliare le risorse per la sanità rappresenta un vero e proprio ‘oltraggio’ all’umanità’. Queste le dure e solenni affermazioni del Santo Padre che rappresentano un monito per tutti”.

Gli operatori sanitari sono inadeguati in rapporto alla popolazione del nostro Paese: i medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. In Italia, come evidenziato in un recente articolo pubblicato su “The Lancet”, l’emorragia dei camici bianchi riguarda anche i medici di medicina generale: sono circa 40.700, ma ogni anno 3000 vanno in pensione. E si assiste a un consistente esodo di medici neolaureati e specializzandi, perché all’estero gli stipendi e le condizioni di lavoro sono nettamente migliori.

La nuova articolazione delle cure territoriali delineata dal DM 71, pur altamente auspicabile, presenta un assetto ed un modello corrispondente ad una filosofia comunitaria anzi addirittura di popolazione (50.000/100.000 cittadini utenti) che appiattisce la diversità e la complessità della moderna domanda di salute e sembra completamente slegata dall’ambito ospedaliero con il quale invece dovrebbe strutturalmente collaborare – spiegano le 30 Società Scientifiche riunite nel Forum –. La sensazione, anzi la convinzione confermata dai fatti, è che si voglia investire sulle strutture più che sulle persone. In realtà il sistema è vicino al collasso. Non basta la costruzione di nuovi edifici, come le Case di Comunità, che non rispondono affatto all’idea di prossimità delle cure e rischiano di restare cattedrali nel deserto senza alcun collegamento con l’ospedale. La prossimità non è un semplice criterio geografico.  Il DM 71 inoltre delinea una controriforma, perché riduce al minimo la funzione del medico di famiglia, che cessa di essere uno dei pilastri del sistema e viene minato nella sua efficienza ed operatività nelle cure primarie. Inoltre attribuisce, almeno in parte, le cure primarie alle cosiddette Case di Comunità, cioè a strutture poliambulatoriali che di fatto rappresentano un diverso setting assistenziale principalmente dedicato all’assistenza di pazienti cronici stabilizzati ma anche eventualmente ad altre molteplici attività”.

“E preoccupano iniziative come quella della Regione Lombardia, che ha annunciato di avviare una sperimentazione per favorire la supplenza ‘organizzativa’ degli infermieri nei confronti dei medici di medicina generale – affermano le Società Scientifiche -. Si tratta di una risposta confusa, sbagliata e quasi disperata al problema della grave carenza di personale. Rivolgiamo un appello al legislatore perché consideri contestualmente la riforma dell’assistenza territoriale e di quella ospedaliera”. “Oltretutto non si ottiene l’auspicata diminuzione degli accessi a bassa priorità nei Pronto Soccorso solo con il potenziamento del territorio, su cui vanno ridistribuite le istanze cliniche meno acute – sottolineano le Società Scientifiche -. Serve un cambiamento culturale. Ciò che è territoriale deve essere considerato pre e post-ospedaliero, in una visione integrata delle due realtà. Resta infatti il problema delle acuzie, comprese quelle ricorrenti nel paziente cronico: questo tipo di assistenza richiede competenze e tecnologie che non rientrano nelle Case di Comunità. Con l’esclusione di una minima parte di casi e per evitare incidenti potenzialmente gravissimi, la sede della valutazione di questi pazienti resta l’Ospedale, in particolare il Pronto Soccorso”. 

La pandemia ha evidenziato una doppia criticità: l’assenza del territorio e l’insufficienza dell’ospedale. E quest’ultima non corrisponde alle mancanze del territorio, perché contiene un’enorme quota di bisogni clinici, tecnologici e di competenze specifiche, che stanno diminuendo sempre di più nei nosocomi.  “Il parametro dei posti letto non deve più essere considerato statico, ma dinamico in relazione alle necessità – spiegano le Società Scientifiche -. I posti letto dovranno essere assegnati alle singole discipline mediche e chirurgiche e calcolati sulla base dei dati di prevalenza delle varie patologie. Serve anche un investimento nelle discipline mediche. Chiediamo una crescita numerica consistente dei medici specialisti ospedalieri, tale da raggiungere gli standard di altri Paesi europei occidentali, ed un aumento della stessa entità del personale infermieristico. Il sistema complessivo dovrà configurare una sorta di logica dipartimentale con l’idea del vero e proprio ospedale (generale o specialistico classicamente inteso), che si estende funzionalmente anche alle realtà sanitarie territoriali. Ci rendiamo conto che rivedere il DM 70, come da nostre proposte, implichi una crescita di spesa per il fondo sanitario".

"È infatti impossibile ripensare i nosocomi, accrescerne la funzionalità e incrementare il loro grado di adeguatezza con il bisogno di cura della popolazione a invarianza di costo - concludono -. Se si entra nella logica della ri-spedalizzazione, è necessario passare dal risparmio all’investimento. Rivendichiamo un ragionevole rifinanziamento della spesa ospedaliera, ma nello stesso tempo ci rendiamo disponibili a ricercare con le Istituzioni un accordo di sostenibilità per eliminare diseconomie, superare disorganizzazioni, ridurre gli sprechi tuttora largamente esistenti a livello locale, in una parola per trovare soluzioni che consentano, a seguito di una crescita della spesa, di garantire un valore aggiunto”.

"Appoggio quanto le 30 società scientifiche Fossc stanno portando avanti. In 10 anni sono stati tagliati 25mila posti letto a livello nazionale per non parlare poi della situazione molto grave in cui versano gli ospedali per la mancanza di personale che pesa sui medici dovuta ai pensionamenti. Molti dei quali prevedibili e per i quali non sono stati previsti nuovi concorsi propedeutici ad altre assunzioni. E poi l'altro grande problema da analizzare risiede nel fatto che molti colleghi ospedalieri oggi si dimettono o anticipano il momento della pensione perchè l'attività lavorativa è diventata troppo dura. Questo è sempre il risultato della carenza di personale che genera giornate e turni di lavoro infiniti e una mole enorme, in termini di responsabilità professionale. Siamo davvero assistendo a un burnout dei colleghi ospedalieri". Lo ha detto, raggiunto telefonicamente dall'agenzia di stampa Dire, Antonio Magi presidente dell'Ordine dei Medici di Roma (Omceo Roma) alla conclusione della conferenza stampa organizzata da Fossc dal titolo il 'Servizio sanitario: la rinascita del sistema parta dagli ospedali'.

"Gli ospedali e i Pronto Soccorso negli ultimi anni- prosegue Magi- vengono letteralmente assaltati perchè è venuto meno il filtro rappresentato dai Mmg e dagli specialisti ambulatoriali sul territorio che è in crisi, anche qui per la mancata sostituzione di chi è andato in pensione. Un altro motivo che genera nuova pressione sugli ospedali, ancora di più dopo gli anni di pandemia, è la riduzione delle attività di prevenzione e screening a livello nazionale- ha sottolineato Magi- e questo fa sì che al paziente venga diagnosticata la malattia in fase più avanzata, che richiede spesso a quel punto l'ospedalizzazione con un dispendio anche maggiore in termini di costi per il Ssn". "E ancora, il territorio è in crisi- ha aggiunto il presidente dell'Omceo- perchè intere zone metropolitane importanti e quartieri non hanno i medici di famiglia in numero proporzionale agli abitanti. Manca anche un'assistenza specialistica sul territorio, perchè è saltato il meccanismo di sostituzione del personale. I medici che lavorano peraltro nel Ssn continuano ad avere una media oraria settimanale di 20 ore quando invece la loro convenzione prevede anche l'estensione a 38 ore settimanali di lavoro. Non si capisce la politica che si sta portando avanti e che non favorisce il paziente-cittadino".

"Bene potenziare- ha detto il presidente Omceo Roma- l'attività ospedaliera in termini di posti letto, elevare il numero dei medici all'attivo e potenziare veramente il territorio che deve fare da filtro affinchè l'ospedale non affoghi. La maggioranza dei pazienti non ha necessità di ricovero, possono essere curati a casa, ma se manca il territorio questi si rivolgeranno e graveranno sempre più sull'ospedale". "Come Ordine dei medici di Roma ritengo utile la proposta lanciata oggi da Fossc e cioè di convocare un tavolo di lavoro comune per affrontare i problemi gravi e come Omceo parteciperei volentieri a questo tavolo insieme alle società scientifiche e alle organizzazioni sindacali per trovare con le Istituzioni delle soluzioni percorribili e che possano risolvere le problematiche che abbiamo", ha concluso Magi.

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