Al Gemelli di Roma che segue i pazienti con COVID-19 in fase post-acuta, in uno studio condotto su 658 pazienti, hanno osservato una correlazione diretta tra incremento del rischio di disfunzione endoteliale e severità dell’infezione da COVID-19
L’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha definita ufficialmente "post Covid-19 condition", condizione di persistenza di segni e sintomi che continuano o si sviluppano oltre le 12 settimane dal termine della fase più grave della malattia. Tosse persistente, difficoltà a respirare, stanchezza o debolezza muscolare, questi i sintomi più comuni, sono alcuni dei sintomi persistenti associati al Covid-19, anche a guarigione avvenuta, che fanno parlare di Long Covid, come ha spiegato l’Istituto Superiore di Sanità. Che il Long-Covid possa accompagnare anche persone che hanno avuto soltanto la febbre, la tosse e un po' di spossatezza non è da escludere. Secondo le stime, infatti, a soffrirne è un paziente su tre.
L’unità di Day Hospital della Fondazione Policlinico Universitaria Agostino Gemelli di Roma che segue i pazienti con COVID-19 in fase post-acuta, in uno studio condotto su 658 pazienti, ha osservato una correlazione diretta tra incremento del rischio di disfunzione endoteliale e severità dell’infezione da COVID-19.
Le cause delle manifestazioni durature del Long-Covid non si conoscono. La malattia, nei casi più gravi, può innescare una forte risposta infiammatoria in grado di dar vita a fenomeni di trombosi. Oltre a rappresentare un rischio nella fase acuta dell'infezione, questi, diffusi soprattutto con le prime varianti e senza la protezione garantita dai vaccini, possono aver lasciato il segno sugli organi colpiti. Un simile aspetto, unito a una possibile reazione autoimmune indotta dal virus, rientra tra i principali indiziati alla base della Long-Covid.
Attraverso una sperimentazione nella terapia sub-intensiva COVID dell'ospedale Cotugno di Napoli ed un lavoro scientifico e di ricerca portato avanti nell'ambito del consorzio Itme (International Translational Research and Medical Education), creato dall’università Federico II in collaborazione con l’Albert Einstein Institute of Medicine di New York, si è riusciti a dare impulso alla conoscenza dei meccanismi fisiopatologici dell’infezione da Sars-Cov2, con particolare riferimento alla disfunzione dell'endotelio che il virus può creare.
Nel corso del lavoro realizzato da Itme, Cotugno, pubblicato su Eclinicalmedicine, gruppo The Lancet, si è evidenziato che nei pazienti ricoverati con infezione grave da COVID 19 supportando le tradizionali terapie farmacologiche con la supplementazione di L-arginina, aminoacido che presiede la produzione di ossido nitrico e citrullina da parte della cellula endoteliale, si sono dimezzati i tempi di degenza ospedaliera e si è ridotta la necessità del supporto ventilatorio.
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