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Studio italiano: l'età del padre non influenza la salute del nascituro

Medicina Interna Redazione DottNet | 02/08/2022 09:01

Rivedere il limite dei quarant'anni per l'età paterna

Si diventa genitori sempre più avanti negli anni. Ma mentre sono molti gli studi sull’influenza dell’età materna sulla salute del nascituro e sulle aspettative di una gravidanza serena, quanto incide l’età del padre? Due studi condotti da Ivi, clinica internazionale specializzata in riproduzione assistita, analizzano l’importanza del fattore età lanciano un messaggio positivo per quelle pazienti che cercano una gravidanza con fecondazione assistita e hanno un partner maschile di età 'avanzata': "l'età paterna non influisce sugli esiti ostetrici e perinatali nei trattamenti di riproduzione assistita con i propri ovociti. A questo punto, e nonostante diversi studi suggeriscano la soglia dei 40 anni per considerare l'età paterna come 'avanzata', riteniamo opportuno rivedere questo limite in base ai risultati attuali", sostiene Mauro Cozzolino, specialista in Medicina della riproduzione di Ivi Roma.

Gli studi, guidati da Ana Navarro, ricercatrice presso la Fondazione Ivi e supervisionato da Nicolás Garrido, direttore della Fondazione Ivi, presentati durante l’ultimo Esgre di Milano, mirano a indagare se lo sperma di un adulto di età paterna avanzata influisce sulla salute ostetrica della donna durante la gravidanza, sul tipo di parto e sulla salute del neonato, e se sì, come si verifica questa influenza. Il campione utilizzato per gli studi è uno dei più estesi per questa tipologia di ricerche: tra pazienti che hanno effettuato la ovodonazione e pazienti con i propri ovuli parliamo di 30.784 pazienti e 34.106 neonati, mentre l’età paterna presa in esame va dai 21 ai 54 anni.

“Abbiamo preso in considerazione una serie di indicatori di gravidanza e salute perinatale come il diabete gestazionale, l'ipertensione, il peso del bambino, il tipo di parto, la circonferenza della testa o l'ammissione in terapia intensiva dopo la nascita, e abbiamo concluso che l'età paterna non influisce sugli esiti ostetrici e perinatali nei trattamenti di riproduzione assistita con i propri ovociti. A questo punto, e nonostante diversi studi suggeriscano la soglia dei 40 anni per considerare l'età paterna come 'avanzata', riteniamo opportuno rivedere questo limite in base ai risultati attuali", sottolinea Cozzolino.

Gli studi hanno infatti dimostrato che non vi è né un calo della qualità dello sperma né della fertilità maschile. "Una delle ragioni di questa differenza tra uomini e donne è puramente biologica: negli uomini, la spermatogenesi avviene costantemente, ogni giorno e in ogni momento, e quindi vengono generate nuove cellule. Le donne, d'altra parte, hanno follicoli nelle ovaie da quando sono nel grembo materno, cioè sono con loro per tutta la vita. E, ovviamente, questo influenza le caratteristiche della fecondazione e tutto ciò che comporta in seguito, poiché gli spermatozoi non sono vecchi come le uova quando si tenta la fecondazione ", spiega Daniela Galliano, direttrice della Clinica Pma di Roma, specialista in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della riproduzione.

Questi studi, tuttavia, evidenziano, a parità di altre condizioni, un aumento del rischio di parto cesareo nella fascia di età più avanzata rispetto a quella più giovane e una maggiore probabilità di avere un parto maschile nel gruppo 30-40 rispetto al gruppo più giovane.

"Partendo dalla premessa che l'età paterna avanzata è intesa come un maschio di almeno 40 anni di età, sono gli eventuali problemi di salute spesso associati all'invecchiamento che portano a una qualità dello sperma non sempre ottimale e che possono determinare un rischio un po' più elevato di malattia nel bambino, anche se questi sono molto rari. Per quanto riguarda la fertilità maschile – conclude Cozzolino - questo è ancora un campo alquanto sconosciuto in termini scientifici, motivo per cui in Ivi, con questo in mente, continuiamo a fare ricerche su base giornaliera per affrontare le sfide che presenta".

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