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Covid: la perdita dell'olfatto indica un elevato rischio di andare incontro a problemi cognitivi e di memoria

Neurologia Redazione DottNet | 08/08/2022 19:27

Lo rivela una ricerca appena presentata al congresso della Alzheimer's Association International tenutosi a San Diego. Superato il picco dei decessi, si va verso il decremento

La perdita di olfatto con il Covid, specie se persistente, indica un elevato rischio di andare incontro a problemi cognitivi e di memoria nel periodo successivo all'infezione, e anche di deficit cognitivi persistenti per parecchi mesi dopo la guarigione dal Covid. Il rischio di deficit mnemonici può essere più che doppio se persistono i problemi olfattivi da covid.

Lo rivela una ricerca appena presentata al congresso della Alzheimer's Association International tenutosi a San Diego, in California.

Condotto da Gabriela Gonzalez-Alemán dell'Università Pontificia di Buenos Aires, lo studio ha coinvolto quasi 800 individui, di 60 anni o più e senza problemi cognitivi prima del Covid. Ebbene è emerso che, indipendentemente dalla gravità dell'infezione, i due terzi del campione hanno riportato problemi di memoria persistenti dopo la guarigione dal Covid; per metà del campione problemi talmente gravi da interferire con la vita quotidiana.

Ebbene si è visto che in maniera del tutto indipendente dai sintomi dell'infezione e dalla loro gravità, coloro che hanno avuto perdita di olfatto sono risultati più del doppio a rischio di disturbi cognitivi e di memoria persistenti anche tre mesi dalla guarigione.  Secondo gli esperti questo studio prova ulteriormente il fatto che il coronavirus penetra e danneggia il cervello facendo breccia attraverso il naso, come proprio di recente dimostrato in esperimenti di laboratorio da Chiara Zurzolo dell'Istituto Pasteur in Francia i cui risultati sono riportati sulla rivista Science Advances. Il virus sembra in grado di crearsi dei nanotunnel che gli permettono di passare dalle cellule olfattive ai neuroni.

Intanto calano i contagi: una inversione di trend attesa, sottolinea l’epidemiologo Cesare Cislaghi, anche se in numeri assoluti le vittime restano ancora tante: sono 113 nelle ultime 24 ore, in aumento rispetto alle 74 di ieri, secondo i dati del ministero della Salute. Si confermano invece in calo i nuovi contagi: sono 11.976 rispetto ai 26.662 registrati ieri dal bollettino ministeriale. Il tasso di positività è al 15,8%, stabile rispetto al 16% di ieri, e sono stati eseguiti in tutto, tra antigenici e molecolari, 75.602 tamponi. Sul fronte degli ospedali, sono invece 339 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, tre in meno rispetto a ieri, mentre gli ingressi giornalieri sono 23. I ricoverati nei reparti ordinari sono 9.052, cioè 126 in più rispetto a ieri. Gli italiani positivi al Coronavirus tornano così a scendere verso la quota un milione: sono attualmente 1.054.167, ovvero 40.789 in meno rispetto a ieri. In totale sono 21.325.402 i contagiati dall’inizio della pandemia, mentre i morti salgono a 173.249. I dimessi e i guariti sono 20.097.986 con un incremento di 52.651. L’occupazione dei posti letto ospedalieri da parte di pazienti Covid si mantiene comunque sotto il livello di soglia a livello nazionale.

Secondo la rilevazione dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) sui dati del 7 agosto, pubblicata oggi, è infatti stabile al 14%, nell’arco di 24 ore in Italia, la percentuale di posti occupati per Covid nei reparti ordinari (un anno fa era al 5%) e sono in calo ma restano ancora 6, le regioni in cui il valore supera la soglia del 15%: Umbria (37%), Calabria (29%), Liguria (24%), Sicilia (22%), Marche (18%), Emilia Romagna (16%). Sempre a livello nazionale, è inoltre stabile al 4% – ben al di sotto della soglia di allerta fissata al 10% – la percentuale di intensive occupate da pazienti Covid (un anno fa era pari al 3%). Siamo dunque nella “fase di picco dei decessi per questa ondata” epidemica di Covid-19 e, nelle prossime settimane, dovremmo assistere ad un loro decremento”, spiega Cislaghi sottolineando come attualmente “la letalità grezza, ovvero senza correzioni per età e genere, sta decrescendo ed è di circa di 1,5 decessi ogni mille contagiati diagnosticati”.

Per una stima ancora più corretta, precisa l’esperto, “si dovrebbero considerare anche alcuni altri fattori concomitanti come l’età, il genere, la residenza e possibilmente anche le condizioni di salute dei contagiati, ma nel medio periodo questi fattori non sembra siano molto cambiati e quindi non dovrebbero influire sui trend, ma potrebbero farlo se si volessero confrontare situazioni diverse come la letalità di altre nazioni”. La mortalità per Covid-19 in dati assoluti “resta ancora elevata – chiarisce – perchè la mortalità dipende dal numero di contagi e dalla latenza tra diagnosi e decessi, che è mediamente di circa tre settimane. Quindi, poichè tre settimane fa ci trovavamo nella fase di picco dei contagi, chiaramente in questi giorni si sta assistendo anche al picco dei decessi: il picco dei contagi è stato infatti a metà luglio ed ora siamo al periodo di picco dei decessi per questa ondata rispetto al loro valore assoluto”. Tuttavia, rileva Cislaghi, “l’aspetto positivo è che nonostante la mortalità come numero assoluto sia aumentata, la letalità come proporzione tra decessi e contagi è invece diminuita e da ora in poi – conclude – dovremmo assistere ad un calo dei decessi se non ci saranno situazioni impreviste”.

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