È il dato saliente dello studio Emerald-1 presentato all'American Society of Clinical Oncology Gastrointestinal Cancers Symposium a San Francisco, da Riccardo Lencioni, docente di Diagnostica per Immagini all'Università di Pisa
L'aggiunta del farmaco immunoterapico durvalumab all'attuale standard di cura (la cosiddetta chemioembolizzazione) raddoppia il tempo di progressione della malattia nei pazienti con tumore del fegato. È il dato saliente dello studio Emerald-1 presentato all'American Society of Clinical Oncology Gastrointestinal Cancers Symposium a San Francisco, da Riccardo Lencioni, docente di Diagnostica per Immagini all'Università di Pisa. Circa il 20-30% dei pazienti con carcinoma epatocellulare, il più comune tumore del fegato che complessivamente in Italia colpisce 12.200 persone ogni anno, è eleggibile per la chemioembolizzazione transarteriosa, una procedura che blocca l'afflusso di sangue al tumore e permette di somministrare la chemioterapia o la radioterapia direttamente al fegato. La maggior parte dei pazienti embolizzati va però incontro a progressione di malattia o recidiva entro un anno. Lo studio ha confrontato in 616 pazienti con tumore del fegato non operabile, ma idoneo all'embolizzazione, l'efficacia dello standard di cura attuale con un protocollo che prevedeva il trattamento con durvalumab contemporaneamente alla chemioembolizzazione transarteriosa, seguito da durvalumab con o senza il farmaco bevacizumab.
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